“Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” di Carlo Emilio Gadda (Adelphi)

“Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” di Carlo Emilio Gadda (1957)

“Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” è un romanzo di Carlo Emilio Gadda apparso in rivista nel 1946 e nel 1957 in volume, ampliato, per Garzanti. Oggi è pubblicato da Adelphi. Nel 1959 è diventato un film dalla sceneggiatura approvata dall’autore, “Un maledetto imbroglio”, diretto da Pietro Germi.

Ho letto questo libro perché scelto per il mese di febbraio dal gruppo di lettura “Sulla traccia di Angela” della biblioteca di Pescara “Di Giampaolo”. Il 21 maggio ricorre il cinquantenario della morte di Carlo Emilio Gadda, avvenuta nel 1973.

Cos’è “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”

Questo romanzo nasce come un giallo, ma di fatto non termina, tanto che per la trasposizione cinematografica si è dovuto trovare a forza un colpevole. Pietro Citati, nella raccolta di saggi e articoli “La malattia dell’infinito” (Mondadori 2010), ricorda come lo scrittore avesse pronto un secondo volume, mai uscito e forse esistente in manoscritto chissà dove, e che odiasse la parola “fine” messa dall’editore.

Al centro della trama c’è un omicidio in via Merulana, preceduto da una rapina in un appartamento che forse è collegata e forse no. Il romanzo ruota intorno ai gioielli spariti dalla casa dell’assassinata e agli indiziati. E, sorprendentemente, anche al tema della maternità negata.

Punti di debolezza

Mentre ascoltavo “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”, nonostante l’interpretazione magnifica di Fabrizio Gifuni, mi è stato chiaro che non è un libro da leggere per scoprire il colpevole.

Solo i più bravi riusciranno a seguire la trama; gli altri dovranno accettare di perdersi.

È un perdersi leopardiano, in cui le armi della comprensione andranno deposte per far sì che i flutti delle parole sommergano il lettore, riempiendolo di stupore.

“A ora a ora un torracchio impreveduto sulla groppa del tumulo a scrutare e a riconoscere chi da molti mesi non passa, oggi sì. Col tetto d’un piovente solo, come un berretto sugli occhi, i muri abbruciati dall’astate senza scampo, scialbati dalle brode di libeccio, rasciugati dalla solitudine”

Il punto non è tanto il romanaccio, quanto la capacità esplosiva con cui Gadda sembra inventare, partorire, allevare e uccidere nuove parole e nuove espressioni. Spesso sembra applicare all’italiano lo “shift” inglese, che permette di partire da un’unica matrice e farne sostantivo, verbo, aggettivo, participio presente e – alla fine – quello che si vuole.

“Il mondo delle cosiddette verità, filosofò, non è che un contesto di favole, di brutti sogni, al che soltanto la fumea dei sogni e delle favole può aver nome verità ed è su delle povere foglie la carezza di luce”.

Lo stile di Carlo Emilio Gadda è più che ricercato: è apparentemente impossibile. È in grado di disegnare arabeschi difficilissimi da seguire, che spazientiscono e inducono a rinunciare.

Però, però, però…

L’ascolto dell’audiolibro per me è stato fondamentale: mi ha permesso di andare oltre la trama e apprezzare questo libro per la forza del linguaggio.

Il bello è che Pietro Citati ricorda un Carlo Emilio Gadda amante della conversazione semplice, assolutamente non ricercata:

“Mi piaceva moltissimo ascoltarlo. Parlava con quella nobile semplicità, quella sovrana chiarezza, quella complessa sobrietà (…) con cui parlavano Manzoni e Leopardi, secondo l’antica tradizione italiana. Non era mai difficile o pomposo: non ricercava acutezze; solo, talvolta, qualche parola di origine scientifica o qualche qualche metafora. Il ritmo delle frasi era lento, grave e posato”

Una volta accettato di rinunciare a seguire la trama, ho potuto apprezzare la forza di questo romanzo, che risiede nei personaggi. Hanno una fortissima presenza scenica, carnale e profonda. Più di tutti mi ha colpito lo spazio dedicato a Zamira. La donna è descritta, a partire dal suo odore, come una creatura selvatica e povera, totalmente alla mercé delle persone e del sistema, tanto che persino chi la sta interrogando si permette, a un certo punto, di toccarla.

“Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” è un romanzo che piacerà agli amanti della scrittura pirotecnica.

Cristina Mosca