Per Quieto Vivere, Massimiliano Smeriglio (Fazi Editore)

 

Per Quieto Vivere
Per Quieto Vivere
Per Quieto Vivere

L’ho fatto per fare contenta la famiglia. L’ho fatto per
quieto vivere.

Le storie, in questo romanzo di Massimiliano Smeriglio, si intrecciano e accavallano come le vite degli abitanti del condominio che affaccia su Piazza Mazzini a Roma e vediamo attraverso gli occhi indolenti del suo svogliato portiere. Portiere da generazioni, predestinato ma portiere anche per caso:

“Per disperazione. Faccio il portiere per disperazione perché, nonostante gli studi, questo passa il convento. Prima il diploma da perito tecnico. Una scuola gigantesca, con duemila ragazzi, neanche una donna. Pazzesco. Passavo la giornata tra torni, lime e saldatori. Segatura, tagliatura, scalpellatura, limatura, raschiettatura, smerigliatura, lappatura, foratura, alesatura, filettatura, infine maschiatura del foro per creare la madrevite. In una parola la materia più inutile del mondo, aggiustaggio! E andavo pure male.”

Il titolo di questo romanzo è infatti in contrapposizione con il personaggio principale, il portiere del condominio, che ha un carattere indolente, scostante e curioso. Cerca di fare il simpatico con i condomini che lo guardano con sospetto, tenta di accattivarsi la loro simpatia con proclami facili e populisti:

«Basta con questi spacciatori che rovinano i nostri ragazzi, basta con la polizia che non fa nulla e con i giudici che li liberano dopo due giorni. Basta con tutto questi immigrati che portano la droga. Basta con le carceri a cinque stelle che paghiamo noi con le nostre tasse. I lavori forzati ci vogliono. Noialtri vogliamo la pena di morte per chi ci infastidisce quando siamo nelle nostre case».

Ma dietro quell’indolenza il protagonista nasconde un intento assai più profondo. Vuole scoprire a causa di quale famiglia sua nonna, fedele al fascio che fece condannare dei partigiani di quel condominio, si è suicidata gettandosi da un balcone del decimo piano. Lo anima un odio profondo verso la vita e gli altri. La scusa per spiare negli appartamenti sono le iniezioni, che ufficialmente fa per integrare lo stipendio, ma in realtà vuole portare a termine l’indagine iniziata da suo padre prima di lui tanti anni prima:

Quello che so non è molto. So che mia nonna l’hanno massacrata, e che mio padre ha sofferto come un cane. Beccare chi è stato e fargli un servizietto non sarebbe male. Certo, stiamo parlando di persone venute dopo, ma anche mio padre era venuto dopo.

La narrazione procede alternando le riflessioni del portiere sui condomini (è anche dispettoso: ruba gli zerbini e, se gli gira, mette in rete le foto dei vicini) a quelle della nonna, del padre e dei proprietari degli appartamenti. In particolare, dell’anziano che vive in sedia a rotelle nella scala b, interno 6.

Non so dire cosa mi dia più angoscia, guardarmi allo specchio o vedere l’espressione spaventata di mio figlio. Gli ho chiesto di portami al mare. Sedia a rotelle, accovacciato tra le sue braccia, ho sentito il suo respiro affannato. E non era fatica.

Il titolo “Per quieto vivere” è in un certo senso ironico. Nessuno in questo romanzo riesce a vivere in pace. Ciascuno porta un dolore, un tormento che impedisce di trovare la serenità d’animo tanto auspicata. Soltanto l’apparenza è tranquilla, per quieto vivere con gli altri, ma non c’è nulla di vero.  Sono tutti infelici, condannati alla sofferenza del corpo e dell’anima. Fra personaggi negativi terribilmente soli, la speranza è affidata alle nuove generazioni, a una ragazzina nemmeno adolescente e taciturna, perché gli adulti hanno già fallito e non possono più sperare.

“Non so chi mi abbia insegnato a camminare, so per certo che a pedalare, a  cadere, a ricominciare, ho imparato da solo. Come tutte le cose importanti della vita. Tranne il nodo alla cravatta che non ho mai voluto imparare. Un rito che spetterebbe ai padri. Così, quelle due o tre cravatte che non metto quasi mai le tengo con il nodo già fatto nell’armadio, impiccate a una stampella, tanto per ricordarmi ogni santo giorno che ci sono ferite che non si chiudono e nodi che non si sciolgono”