Il silenzio addosso di Stefania Convalle

Il Silenzio Addosso
Il Silenzio Addosso

Il silenzio addosso di Stefania Convalle

Il silenzio addosso di Stefania Convalle è stata una piacevole scoperta. È il primo romanzo che leggo di questa autrice e mi ha subito coinvolta.
Già dalle prime righe la sua scrittura cattura, anche attraverso il non detto.

Il silenzio, infatti, è cucito come una seconda pelle, nei gesti che tentano di rivelare la sofferenza, negli sguardi che provano a chiedere aiuto. È una prigione questo silenzio, ma è anche un modo per proteggere l’anima, per non esporla al dolore insostenibile della perdita. Ci sono dolori insostenibili, la mente sente il bisogno di spegnersi, di restare da sola, in silenzio, per non perdere la ragione, per ricucire i lembi strappati del cuore.

La prima storia che ci racconta, la prima vita, dovrei dire, riguarda Chiara, che ha dentro un vuoto terribile, un dolore incontenibile. Non sappiamo subito perché ma è una donna che ha attraversato un inferno e sta cercando il modo, uno qualunque per sopravvivere.
Dura poche pagine l’incontro con Chiara, perché la narrazione alterna le vite dei personaggi e le storie dei segni che ciascuno nasconde nei propri silenzi.

La sua esistenza, la sua sopravvivenza, si intreccia ad altre nel tentativo di non cedere all’insopportabile perdita che ha subito. Le ruotano attorno altre donne (una sciamana, unita a lei più di quanto possa immaginare, Giulia che si rivelerà preziosa) e uomini che rappresentano un passato da perdonare e un futuro tutto da costruire.

Un romanzo breve, circa 160 pagine, come piacciono a me, intenso, lascia che il lettore sprofondi in questo baratro silenzioso, che è l’universo racchiuso in una bolla di sapone pronta a scoppiare e farsi mondo al primo tocco gentile.

Estratto:

“La pagina bianca è arrivata. Dritta, davanti ai miei occhi. Implacabile. Un vuoto tra le righe che attendono di essere scritte. Una valigia di cuoio, come quelle di una volta, ottocentesca come i contorni di una storia che si è chiusa tra arabeschi colorati di nero.

Anni scritti in un diario di pelle dato alle fiamme di una vita che ti prende alla sprovvista e ti toglie tutto quello che hai. Tranne la vita stessa.

Tranne la capacità di respirare, di vedere e guardare occhi che si chiudono per non aprirsi mai più. Tranne una parete dove cercare un appiglio.

Sfilare la mano dalla sua è stata la prova più dura della mia esistenza. Una mano inerte, dai pochi anni, giovane e liscia come un frutto ancora sull’albero.”