“Tre uomini in barca” di Jerome K. Jerome

“Tre uomini in barca” di Jerome K. Jerome

Sono sempre stata convinta che “Tre uomini in barca” di Jerome K. Jerome fosse un’opera di metà Novecento e che l’autore fosse francese. Ci voleva la condivisa organizzata dal gruppo Facebook “La chiave di lettura” per farmi realizzare che ero completamente fuori strada.

Cos’è “Tre uomini in barca (per tacer del cane)”

Il romanzo è scritto da un autore inglesissimo (Jerome Klapka Jerome è nato a Walsall, esattamente al centro della Gran Bretagna), ambientato sul Tamigi e pubblicato nel 1889. Siamo al termine dell’età vittoriana, sono gli stessi anni de “Lo strano caso del Dr Jekyll e Mr Hyde” e de “Il ritratto di Dorian Gray”. Di quindici anni prima è un piccolo capolavoro del nonsense, “Alice nel paese delle meraviglie”.

“Tre uomini in barca” si inserisce nel filone della narrativa umoristica ed è scritto in prima persona. Ha come sfondo un tour di tre uomini sul Tamigi, da Kingston upon Thames a Oxford. Troviamo dinamiche esilaranti, digressioni divertenti, aneddoti e considerazioni che strappano risate più volte. Il narratore arriva a dire: in questo ristorante si mangia benissimo, ma state freschi se vi dico dov’è. Per un libro che era nato come guida turistica non c’è male.

Punti di forza

Più volte, ascoltando l’audiolibro letto da Massimo D’Onofrio ho pensato alle conversazioni demenziali che si fanno in comitiva. Sono conversazioni cariche di ironia e votate al gusto del lato divertente delle cose, anche quello più nascosto. Molte volte è più spassoso il modo di raccontare un fatto che il fatto stesso. Questo è quello che accade anche in “Tre uomini in barca”. Diverte il modo in cui tutti si contendono la pesca di un tonno in esposizione, o come viene immaginato l’imbarazzo del popolo nell’incontrare ovunque Enrico VIII e Anna Bolena al tempo del corteggiamento, o nell’ossessione di uno dei tre amici sulla possibilità che la barca si rovesci.

I capitoli scivolano snelli, puntellati, di quando in quando, da una dimensione più intimista dell’autore e da riflessioni un pochino più serie.

“A volte la nostra pena è davvero profonda e reale, e di fronte ad essa rimaniamo silenziosi, perché la nostra pena non ha parole per esprimersi: solo un gemito. E il cuore della Notte si gonfia di pietà ne nostri confronti; non può alleviare la nostra sofferenza; ma ci prende la mano nella sua, e il piccolo mondo diventa piccolissimo e lontanissimo laggiù, sotto di noi.”

Però, però, però…

Essendo un romanzo di fine Ottocento che parodizza anche un po’ la letteratura di viaggio, troviamo all’inizio di ogni capitolo una sorta di sottotitolatura che occupa buona parte della pagina e che inizialmente può infastidire e venire saltata a piè pari, ma poi in effetti si rivela utile nel rintracciare scene ed episodi.

“Getta la cianfrusaglia al fiume, amico, fa che la barca della tua vita sia leggera, carica solo del necessario: una casa accogliente e piaceri semplici, un amico o due degni di questo nome, qualcuno che ti ami e qualcuno che tu ami. Un gatto, un cane e un paio di pipe (…) Vedrai che troverai più facile vogare nella tua barca ed essa non correrà tanto pericolo di rovesciarsi. E se poi si rovescia, poco male: poche merci e buone resistono all’acqua”.

“Tre uomini in barca” è un libro fresco e gradevole, che mi sento di consigliare ad adulti e ragazzi dalle scuole medie in poi.

Cristina Mosca