Vita morte e miracoli di Bonfiglio Liborio – Remo Rapino (Minimum Fax)

Copertina del libro Vita morte e miracoli di Bonfiglio Liborio.
“Vita, morte e miracoli di Bonfiglio LIborio” di Remo Rapino, Minimum Fax 2019.

Vita morte e miracoli di Bonfiglio Liborio” (Minimum Fax 2019) è il titolo del romanzo che ha ricevuto il Premio Campiello 2020 scritto dall’abruzzese Remo Rapino. Un titolo che non è semplicissimo da ricordare per un libro che non è semplicissimo da leggere. Ma andiamo con ordine.

Il romanzo è scritto in prima persona dal personaggio fittizio di Liborio Bonfiglio, “cocciamatte”, nato nel 1926, che racconta tutta la sua vita a partire dalla nascita in Abruzzo per passare a quando resta orfano, a quando assiste all’attacco dei tedeschi, alle lotte sindacali in fabbrica a Milano, alla sua permanenza in manicomio a Imola e per finire con il ritorno al paesello. Detta così, sembriamo ancora negli schemi classici.

Punti di forza.

Per la narrazione è stato scelto il flusso di coscienza, ma attenzione: trattasi di flusso di coscienza di qualcuno che si definisce matto.

Liborio è una persona molto semplice, ha la sua logica, si è fermato alle scuole elementari. Questo fa della sua lingua un misto fra italiano, dialetto e dialetto italianizzato. Alcune espressioni sono strette del lancianese, che è l’area da cui proviene l’autore, ma tutto il testo è pieno zeppo di espressioni idiomatiche abruzzesi, corredate da un efficacissimo glossario alla fine del libro.

La lingua di Liborio s’“intorta”, s’“intreccica” e si arrotola, è ripetitiva come un testo della tradizione orale e ipnotizzante come un romanzo perturbante del ventunesimo secolo. Arrivi alla fine della lettura che senza accorgertene ti ha cambiato il modo di mettere in ordine le parole dentro ai pensieri.

Però, però, però…

Non avevo nessuna voglia di leggere questo libro. Quando l’ho sfogliato le prime volte, all’inizio dell’anno, avevo intuito che lo stile mi sarebbe costato fatica. L’ha scelto il gruppo di lettura Sulla traccia di Angela per il mese di ottobre e ho dovuto decidere se adeguarmi o fingere un malore. Sì, perché lo avrei letto proprio di malavoglia.

Mi ritengo abbastanza abituata a gestire i flussi di coscienza, ma evidentemente non sono ancora al livello avanzato. Per metà libro ho seguito il filo del discorso con fatica; mi distraevo per intere pagine e continuavo a rileggere le stesse righe senza rendermi conto subito che ci ero già passata. Quello di Liborio è un discorso senza sosta, roboante, di cui diciamo che la sintesi non è la caratteristica principe. È un pensiero che crea un rumore di fondo come quello che inizia a sentire lui nella testa e in cui personaggi del passato si confondono con quelli del presente.

Non so quanto tempo è durato quel macello, che proprio un macellamento sembrava con tutto il sangue che se ne usciva come da una fontana e la testa che mi ballava di mille rumori, bistanclaque bistanclaque, tata tatatan tatatan, tutum tutum, tututum, me lo devi dire me lo devi dire strillavo, e pure gli altri strillavano Fermati Liborio che così l’ammazzi (…)

Ecco il “però” dentro il “però”. Una mattina ho pensato che un compendio del modo di parlare abruzzese così immediato e vivo, che passi per frasi fatte e parole dialettali, mio figlio non lo potrà avere mai da me. Ho dominato per un buon 90% la lingua in cui è stato scritto il libro nonostante io non usi il dialetto nella mia quotidianità. Lo capisco perché l’ho ascoltato. Mio figlio non avrà le stesse occasioni che ho avuto io di impararlo, perché lo si parla sempre meno. Quindi quella mattina ho pensato che sì, è stato giusto comprare il libro, affinché mio figlio abbia in casa questa esperienza di lingua abruzzese.

Così mi passavano le giornate come a uno che si perde per mare e si ritrova sopa a una isola che non ci sta niente sopra e però ha lo stesso paura di dare fastidio a qualcosa o a qualcuno (…)

Acquisita questa consapevolezza ho continuato a leggerlo ma la sofferenza è rimasta. È stata una sofferenza strana, mescolata al divertimento. Certo che questo Liborio, “mica è tanto matto questo matto”, un po’ di licenze gli piace prendersele. Il linguaggio ha iniziato a essere liberatorio, rivelatore. Dopo la seconda metà del libro la sofferenza si è trasformata in dolore. Hanno iniziato a emergere la solitudine, l’isolamento e la difficoltà a integrarsi, tutti argomenti a me cari. E noi che nella testa sua ci siamo e abbiamo iniziato a pensare come lui, ci dispiace che le persone che lo prendono in giro non vedano da fuori le stesse cose che vediamo noi da dentro. Ché lui in fondo è una persona buona, è un bambino senza la mamma, e ci viene voglia di abbracciarlo questo ottantenne che vive con le buste e ogni tanto si becca una purga per scherzo, ci viene da proteggerlo dal mondo, e ci intenerisce il modo in cui si avvicina alla fine della vita sua.

Liborio, come dicono molti dopo averlo letto, è un personaggio che si porta con sé.

Booklist: Il libro nominato attraverso tutto il romanzo è “Cuore”, che il maestro regala a Liborio e che il protagonista cita più volte e asserisce di leggere e rileggere attraverso tutta la vita, con particolare suggestione verso alcuni racconti e alcuni personaggi.

Cristina Mosca