Vox – di Christina Dalcher (Nord Edizioni)

Vox

di Christina Dalcher

Traduzione di Barbara Ronca

Editrice Nord

Dal sito dell’editore:

Jean McClellan è diventata una donna di poche parole. Ma non per sua scelta. Può pronunciarne solo cento al giorno, non una di più. Anche sua figlia di sei anni porta il braccialetto conta parole, e le è proibito imparare a leggere e a scrivere.
Perché, con il nuovo governo al potere, in America è cambiato tutto.
Jean è solo una dei milioni di donne che, oltre alla voce, hanno dovuto rinunciare al passaporto, al conto in banca, al lavoro. Ma è l’unica che ora ha la possibilità di ribellarsi.
Per se stessa, per sua figlia, per tutte le donne.

[limite di 100 parole raggiunto]

OGNI GIORNO PRONUNCIAMO IN MEDIA 16.000 PAROLE

PAROLE CHE USIAMO PER LAVORARE
PER CHIACCHIERARE CON GLI AMICI
PER ESPRIMERE LA NOSTRA OPINIONE

MA, SE NON FACCIAMO SENTIRE LA NOSTRA VOCE,
CI RIMARRÀ SOLO IL SILENZIO…

Recensione:

Se qualcuno mi dicesse che in una settimana potrei far fuori il presidente, il

Movimento per la Purezza e quell’incompetente pezzo di merda di Morgan

LeBron, non gli crederei. Ma non potrei nemmeno contraddirlo. Non potrei

dire niente.

Inizia così il libro della Dalcher. Ci dice subito che né lei né la figlia possono dire molto. Hanno un limite di 100 parole al giorno, se lo superano il “braccialetto” che portano al polso e che conta le loro parole, emette una scarica elettrica, sempre più forte all’aumentare delle parole.

E così, in famiglia, devono trovare delle soluzioni per permettere loro di interagire, senza sforare.

Tra un boccone e l’altro dello stufato che ho preparato secondo la ricetta che so a memoria, Patrick la interroga sui suoi progressi in economia domestica, educazione fisica e nel nuovo corso di gestione familiare di base. È obbediente con gli insegnanti? Porterà a casa bei voti, questo quadrimestre? Sa quali sono le domande giuste da porle: quelle che richiedono soltanto un cenno del capo.

Non solo non possono parlare, in quanto donne, ma non è nemmeno necessario che studino. Leggere e scrivere è importante solo se finalizzato alla casa, a far felici mariti, figli e fratelli, non certo per svago o, peggio ancora, studio. Ma nemmeno i libri di cucina sono ammessi, chissà che cosa possono contenere, magari ricette rivoluzionare! E la matematica? È importante, certo: una brava donna di casa deve sapere fare i conti della spesa. Nulla di più.

Non possono parlare a gesti, perché non sono le parole a infastidire, è la voglia di comunicare, di avere una vita propria e, Dio ce scampi!, un pensiero proprio.

Siamo in uno scenario distopico che prende spunto da fatti di realtà, da alcuni atteggiamenti maschilisti reali. E l’autrice non attribuisce la colpa agli uomini, non è così. L’attribuisce a uomini e donne in egual misura. Ma come si è arrivati a questo punto? È stato un passaggio graduale, almeno all’inizio. C’erano le avvisaglie, ma la maggior parte non le ha volute vedere, pensando che fossero delirii di manipoli ininfluenti. Quando si sono rese conto che la situazione stava degenerando, era ormai troppo tardi. Non avevano più voce in capitolo, non potevano farsi sentire. Il capovolgimento radicale è avvenuto in poco più di un anno. Prima, per anni, qualche insinuazione apparentemente irrilevante, che però ha gettato il seme di ciò che sarebbe successo, ha insinuato il dubbio e un modo diverso di vedere il rapporto tra i generi.

La mentalità si è insinuata pian piano in tutte le famiglie, fino a germogliare all’improvviso: donne orgogliosamente Pure (dedite alla famiglia e al marito), figli adolescenti convinti che la donna debba stare a casa a far da mangiare, pulire e non parlare, al punto da discutere del proprio matrimonio non con la diretta interessata, bensì col padre di lei; bambine di 6 anni che tornano a casa felici e orgogliose di aver vinto il premio per essere la scolara che ha parlato di meno (3 parole in tutta la giornata)!

Non vogliono ucciderci, per la stessa ragione per cui hanno vietato l’aborto. Siamo un male necessario, oggetti muti che servono solo a essere scopati.

Da donna ho apprezzato molto la resa della presunta superiorità maschile, del loro modo di ragionare e di porsi nei nostri confronti. Se anche non potrà mai avvenire che ci mettano a tacere con 100 parole al giorno o forse meno, la mentalità e la cultura che stanno alla base sono più che vere e tangibili. Inoltre l’autrice ha reso bene come la mentalità possa essere plagiata e manipolata, anche se 12 mesi di tempo mi sembrano davvero pochi, ci vorrebbe almeno qualche anno.

La moglie del presidente ricorda molto Melania Trump e il predicatore Corbin incarna il peggio degli uomini e dei predicatori. La Dalcher dice che non si è arrivati a quella situazione senza combattere, ed è un libro, un distopico, quindi va bene, lo accettiamo, ma è altamente improbabile che ciò possa avvenire, ripeto, con una velocità tale e il tacito consenso di buona parte della popolazione, maschile e anche femminile.

Ho letto in un’altra recensione che è quasi inquietante il comportamento del figlio maggiore, che abbraccia la filosofia della “donna dietro al fornello”. Ecco: io invece trovo che sia molto inquietante, perché facilmente replicabile  nella realtà.

La storia è un mix tra thriller e distopico. Resa molto bene anche la preoccupazione per la figlia minore, unica femmina, mentre i due gemelli non hanno spessore.

Inoltre mi è piaciuto molto Patrick, il marito, e il ruolo che ha, ciò che fa, che dice e ciò che non dice. Mentre ho trovato inutile e superflua, ben poco originale, la storia con Lorenzo. Inutile ai fini della storia e della narrazione; la storia sarebbe andata benissimo anche senza la loro tresca, e anche “la scelta di Sophie” avrebbe potuto essere inserita in maniera diversa. Allo stesso modo il finale l’ho trovato un po’ forzato. Un lieto fine troppo lieto, anche se una grossa perdita c’è, a cui però, a mio parere, non viene resa giustizia né dato il giusto peso e spazio.

Sicuramente un bel libro, che consiglio. Ottimi gli spunti, ottime alcune considerazione che innesca, ma per certi aspetti lo avrei forse preferito un po’ “più semplice”.

Daniela