Yeruldelgger 3, La morte nomade – di Ian Manook

Yeruldelgger 3 – La morte nomade

di Ian Manook

Fazi editore

Dal sito dell’editore:

Traduzione di Maurizio Ferrara

Stremato da anni di lotta inutile contro la criminalità, l’incorruttibile commissario Yeruldelgger ha lasciato la polizia di Ulan Bator. Piantata la sua yurta nell’immensità del deserto del Gobi, ha deciso di ritornare alle tradizioni dei suoi antenati. Ma il suo ritiro sarà breve. Suo malgrado, ben presto Yeruldelgger si ritrova alla testa di una sorta di improbabile armata Brancaleone: Tsetseg che cerca la figlia rapita, alcuni pittori girovaghi, un bambino che scava nelle miniere e Guerlei, un’irascibile poliziotta che nei momenti di confusione sale sul tettuccio di un fuoristrada per sparare in aria. La scalcagnata compagnia attraversa la steppa per raggiungere un nadaam, festività nazionale dove Yeruldelgger vuole gareggiare con l’arco. Durante la lenta cavalcata, però, l’ex commissario s’imbatte in una serie di omicidi, tutti perpetrati secondo un antico rituale… Sventrata dalle multinazionali, sfruttata dagli affaristi, rovinata dalla corruzione, la Mongolia dei nomadi e degli sciamani sembra aver venduto l’anima al diavolo. Yeruldelgger verrà coinvolto in un’avventura ancora più sanguinosa del solito, con un nuovo nemico da fronteggiare e nuovi scenari da scandagliare. Dalle aride steppe asiatiche al cuore di Manhattan, dal Canada all’Australia, Manook fa soffiare su queste pagine un vento più nero e selvaggio che mai.
Terzo e ultimo capitolo della trilogia del commissario Yeruldelgger, La morte nomade lascerà i lettori a bocca aperta.

Recensione

Abbiamo avuto il privilegio di leggere questo terzo capitolo in anteprima, non ci siamo fatte sfuggire l’occasione. Avevamo già letto Yeruldelgger e ci era piaciuto molto. (questo il link alla recensione del primo libro).

Qui lo ritroviamo alla ricerca di se stesso. Invecchiato, stanco di lottare e alla ricerca di equilibrio e pace interiori. Si è ritirato in un angolo dell’immensa steppa, ma nemmeno lì riesce a stare tranquillo. Il suo nome e la sua fama attirano persone che vengono a chiedergli giustizia. E lui ci prova a tirarsi indietro, ma le coincidenze sembrano non permetterglielo.

Manook ci riporta negli spazi sconfinati della Mongolia, a contatto con le tradizioni nomadi, ma anche, questa volta, con il progresso e l’avidità a esso correlata. Sembra non ci possa essere progresso senza impoverimento della terra, nessuna evoluzione senza perdita delle tradizioni. Yeruldelgger vorrebbe opporsi a tutto questo, ma non ne ha più la forza: non gli resta che prenderne atto. Qualcun altro cercherà di sfruttare il suo nome per rivoltarsi.

Ritroviamo lui, il protagonista, e Solongo, la donna amata, sempre più affascinante e legata a lui da un filo invisibile, ma resistente.

Incontriamo anche nuovi personaggi, cometa poliziotta Guerlei e Tsegtseg, una madre che cerca la figlia e che dà il via al movimento di Yeruldelgger.

Visitiamo brevemente anche la Francia, New York, Ulan Bator e l’Australia, ma il centro delle attività resta la steppa, crocevia di destini. Dove le persone non hanno bisogno di vedere per sapere, dove le dune cantano e resistono le tradizioni nomadi. Il progresso viene dipinto come cannibale, la terra deturpata  e impoverita per la ricchezza di pochi. Un paese che sta perdendo il passato, ma che non si sta costruendo un futuro.

Una volta aveva letto da qualche parte che il ritmo del progresso raddoppiava a ogni tappa. L’equivalente delle invenzioni di un secolo veniva inventato in cinquant’anni. Poi in venticinque. Leggendola, aveva spazzato via quella statistica imbecille con un’alzata di spalle. Oggi gli dava il capogiro. Dove si sarebbe fermata quella corsa folle? Tutto sembrava improvvisamente seguire la stessa curva esponenziale: l’avidità degli uomini, il loro egoismo, la loro violenza. Lui non aveva voluto vedere ciò che stava succedendo, impegnato come era a lottare contro la miseria del mondo e gli istinti malvagi degli uomini.

Daniela