“Di Notte” di Mercedes Lauenstein (Voland)

di notte
di notte

C’è una donna che gira di notte a fare domande a chi è ancora sveglio. Una ragazza che non ha nome e citofona alle case con una finestra illuminata. Chiede agli insonni cosa facciano ancora svegli a quell’ora di notte, incrocia esistenze, anime e sofferenze. Non c’è cosa più intima di una casa di notte. Lei inventa un nome a chi lo chiede, spiega di condurre una ricerca su cosa sia la notte per chi la abita e ne ottiene risposte inaspettate, talvolta insensate, originali, superficiali, profondissime e nere come abissi.

“Due finestre al primo piano di una casa rossa. Le tende scure lasciano passare soltanto uno spiraglio di luce. Dopo aver suonato sento il rumore di una finestra che si apre. “Chi è?” Una voce femminile. Mi sposto sulla strada. Una donna non più giovane sporge esitante la testa dalla cornice della finestra. Capelli castani raccolti all’insù, dai quali ricadono alcune ciocche grigie. Non truccata, un camicione in lino. Mi osserva, ha il viso sgualcito e mi ascolta dubbiosa tenendo stretta la maniglia alla finestra. Alla fine mi lascia entrare. Scende di persona ad aprirmi la porta, in pantaloni chiari e pantofole di pelle ai piedi. Risaliamo insieme le scale. Di sopra c’è odore di detersivi e fiori, e anche un po’ di biancheria dimenticata in lavatrice. Più porte si aprono su un corridoio oblungo.”

Ogni capitolo porta il nome dell’ospite che l’accoglierà. Di lui la protagonista ci racconta la vita attraverso la sua abitazione, gli oggetti che la abitano, i profumi, gli sguardi e le parole degli inquilini. I personaggi sono introdotti dal suono del citofono, dal cigolio di un portone, dalla luce di un androne.

Sono i veri protagonisti, ciascuno di loro è la vera essenza del racconto di cui la narratrice si fa tramite perché le anime della notte ci giungano. Della notte tutti sappiamo cosa c’è fuori, ma quante volte capita di sbirciare fra le tende di una finestra ancora illuminata rincasando a tarda ora e domandarsi quale solitudine o amore o dubbio la tengano accesa.

“Te lo immagini? L’hanno trovata proprio così, con gli occhiali da sole sul viso.” Chiara ride. “E mi ha lasciato una lettera. Le giaceva in grembo e c’era scritto: “Chiara, io qui ho finito. imani come sei e va’ per la tua strada,  non ho mai dubitato di te in tutta la mia vita e non ho mai conosciuto nessuno di così indipendente. Non potrei essere più orgogliosa di te. Ci vediamo, amore!” Mentre la leggevo mi veniva da piangere e ridere al tempo stesso. Non ce l’ho con lei. La capisco fin troppo bene.”

La notte nelle case ci sono mamme che allattano i figli, ci sono matti che chiudono gli ospiti in balcone, ci sono donne dimenticate dai figli, vedove, uomini abbandonati dalla fidanzata per un altro. Sembra più facile raccontarsi la notte e abbandonarsi alle confidenze, spogliarsi delle convenzioni e lasciare andare i pregiudizi.

Io, leggendo, ne ho avuti molti. Soprattutto perché mi sono domandata cosa farei se qualcuno mi suonasse la notte alla porta chiedendomi di bere qualcosa insieme e scambiare due parole. E neppure sarei in grado di citofonare a uno sconosciuto chiedendo di farmi salire.

“Ma sei venuta tu di tua spontanea volontà!” risponde lui, d’un tratto di nuovo lucido. Deve smetterla, penso. Quando dice fesserie riesco a tenergli testa. Ma quando dice cose che potrebbero anche avere un senso non ce la faccio. Ho una gran voglia di urlargli contro, dare calci e prendergli la chiave dalla tasca, ma forse peggiorerei tutto. Per cui dico: “Puoi fidarti di me. Tranquillo, è tutto ol, non avere paura.”

Di cosa parlerei? Ne sarei felice? Io è probabile che lo caccerei via, eppure perderei l’occasione di svuotare l’anima davanti a un incontro. Perderei l’occasione di trasmettere me stessa all’altro dimenticando che la casa è in disordine, che in frigo ho soltanto una birra, che in fondo non importa il contesto, contano le parole.

Mercedes Lauenstein in questo libro tradotto da Elisabetta Dal Bello, ci riporta all’essenza dell’umanità: nessuno vuole star solo. Anche la protagonista ha le sue ragioni per far questo, lo dico perché è un’altra delle domande che mi sono posta, e l’ultimo racconto sarà rivelatore delle sue fragilità. Di più non posso dire ma vale la pena, davvero, arrivare fino in fondo con la lettura.

Dal Sito dell’editore:

Una ragazza senza nome, in una Monaco notturna e silenziosa, conta le finestre rimaste illuminate, perché chi è immerso nel sonno le fa paura. Suona ai campanelli, bussa alle porte, entra nelle vite di chi non può o non vuole dormire. Raccoglie confessioni che alla luce del sole non sarebbero possibili. Alcuni tengono gli occhi aperti perché sono certi che se li chiudessero morirebbero, altri sentono la mancanza di una persona cara e temono che addormentandosi la perderebbero definitivamente. Venticinque brevi dialoghi sull’irrequietezza.

http://www.voland.it/voland/scheda.aspx?titolo=612