Sangue Inquieto di Robert Galbraith (salani)

A pagine 300 volevo mollare tutto. L’idea di altre 700 pagine così mi stavano davvero scoraggiando. Però è un thriller e io volevo scoprire l’assassino, per cui ho iniziato a leggere poco più dei dialoghi.

Suppongo che già da queste poche righe si capisca che il libro non mi ha entusiasmata.

MILLE pagine sono davvero troppe per un thriller con tanti personaggi caricature di se stessi, storie che si intrecciano, un cold case di quasi quarant’anni, e i solito testimoni che se non sono morti, sono reticenti.

Perché l’ho finito? Perché, nonostante non mi coinvolgesse, la Rowling sa scrivere. Però, ecco, in Harry Potter assaporavo ogni parola, ogni pagina aveva un suo perché, serviva a costruire la storia, fino all’epilogo. Qui, boh!

Robin divorzia, Joan muore, Strike rompe definitivamente con Charlotte,… ok. Ma sono tutte storie che si intrecciano e procedono a piccoli passi, lo trovo un po’ estenuante. E allora niente, leggo quasi solo i dialoghi, pochissime descrizioni.

E comunque l’assassino mi sembra assurdo. Il movente, il modo, tutto. E che nessuno, per quarant’anni, abbia pensato di dire un po’ di quello che sapeva. Tutti avevano informazioni che non avevano confidato alla polizia. Se è vero che i libri non sono la realtà, c’è un patto di verosimiglianza con il lettore che la Rowling è già la seconda volta su tre, per quel che mi riguarda, che non rispetta.

No, non ero, non sono e credo che non sarà mai una fan di Galbraith, anche se Cormoran Strike e Robin Ellacott mi piacciono, quindi probabilmente ne leggerò altri, sperando che siano più brevi e avvincenti.