“Baco” di Giacomo Sartori (Exorma Editore)

Dal sito dell’editore:

Con un nonno anarchico, un padre transumanista e una mamma che adora le api e che non c’è, il ragazzino, sordo profondo e con un corpo che gli va dove gli pare, cerca il modo di affrontare quel mondo silenzioso e frastornante che lo circonda. Non ha abbastanza parole nella testa per metterci dentro tutto quello che pensa.
Parla con i segni, perché a lui le parole vere e proprie non gli vengono bene. Senza contare che le parole vogliono sempre far credere quello che fa comodo a loro. Segna al nonno quando lui lo porta con sé a dissotterrare i vermi da studiare al microscopio. Segna al fratello geniale impegnato a progettare rivoluzionari circuiti integrati e algoritmi. E segna alla madre, che non può rispondergli. A lei, relegata nel silenzio, nessuno racconta mai nulla. Solo lui lo fa, solo lui pensa che presto tornerà a spalancare i suoi occhi più verdi degli smeraldi.
Tra stufe a trucioli che si gestiscono da sole, arnie intelligenti, venefiche multinazionali, entità digitali e reti neurali, anche il suo amico Baco impara in fretta, ha un sacco di idee su come far andare le cose. Vive nascosto come un macroanellide, interviene continuamente in tutto, abilissimo a scatenare situazioni scomode e veri disastri.

La scrittura di Sartori cattura già dalle prime pagine. Una storia originale raccontata con maestria.

Tutti i personaggi sono insoliti, il protagonista, bambino sordo, ha momenti di alterazione durante i quali, forse per la difficoltà a farsi capire, morde! Succede con i compagni, con gli insegnanti, ma la verità è che nessuno riesce a comprenderlo davvero.

Il fratello, QI185 (dove la siglia sta per quoziente intellettivo superiore alla media) è un genio dell’informatica e della programmazione che riesce ad hackerare sistemi blindatissimi e mette a punto un sistema infallibile per scovare i terroristi.

La mamma, appassionata apicoltrice, è la grande assente, in coma dopo un incidente con l’automobile, ma è il motore trainante della narrazione, perchè a lei si rivolge il piccolo protagonista.

Le scrive con l’aiuto della logopedista, “La Logo”, perchè è importante che si sforzi di parlare, non con i segni, che d’altronde sua madre non può vedere, ma con la voce, per educarsi a far parte del mondo.

Lui però sta bene così, isolato nei suoi silenzi, nella sua casa che è un ex allevamento di polli, col fratello, il papà e il nonno, in un mondo alterato che convive con l’intelligenza artificiale, televisori che non vogliono sintonizzarsi, stufe che decidono da sole quando accendersi e li lasciano congelarsi di freddo.

E il suo nuovo amico, che lo contatta attraverso il computer e sembra capirlo più di chiunque altro. Si tratta di Baco, un robot virtuale creato dal fratello, con una mente che evolve man mao che fa esperienza e acquisisce dati dal mondo reale. Con i pericoli che una tale potenza comporta.

Questo mondo strampalato e divertente ci mostra un futuro tecnologico dove tutto va a rovescio, gli equilibri familiari sono sempre a rischio di collassare da un momento all’altro.

La scrittura di Sartori, come detto all’inizio, è sorprendente, immaginifica, ricca di metafore e soluzioni originali. Riesce a creare un mondo altro dentro cui i suoi personaggi si muovono naturali, persino quelli artificiali.

Estratto:

Il camion russo non poteva frenare, perché era una domenica cominciata storta fin dall’inizio. Le cose andavano male nel cielo trasformato in mare rabbioso, nella fiumana che intrecciava vortici di fanghiglia sull’asfalto, nelle arnie sotto la tettoia pericolante, e perfino nella nostra stufa a trucioli, che si ostinava a restare spenta. Immaginiamoci nella testa della mamma piena di preoccupazioni e di frasi da dire.
Con quel diluvio non si vedeva niente, il camionista ucraino non ci ha nemmeno provato a frenare. Era come essere davanti all’oblò di una lavatrice, ha detto nella sua lingua che nessuno capiva.
Nel nostro ex allevamento di polli si aveva l’impressione di essere sotto una cascata, e che l’acqua ghiacciata volesse sfondare il tetto di lamiera. Non ci sono grondaie, ma anche se ci fossero come nelle vere case l’acqua avrebbe formato gli stessi muri davanti alle finestre a baionetta. Io i rumori acuti non li sento, però quelle lame liquide picchiavano come forsennate: il loro rombo mi risaliva lungo le gambe e la spina dorsale, mi comprimeva il cervello. Invece di parlare tutti gridavano.
In casa, noi la chiamiamo casa, si vedeva il fiato, da quanto freddo faceva. Con una stufa normale sarebbe bastato un fiammifero e un pezzo di carta, ma la nostra è una stufa intelligente: può accendersi solo se i sensori miniaturizzati danno il beneplacito, e se i programmi di regolazione a autoapprendimento sono d’accordo. QI185 provava e riprovava a calcare i tasti della centralina, come un astronauta ormai isolato dal resto dell’umanità tenta tanto per tentare: i trucioli di legna restavano tristi e immobili.
Mia mamma aveva furia di partire per la sua assemblea del primo sabato del mese.

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