Un’atmosfera opprimente come un cielo plumbeo, come l’umidità che penetra le ossa, taglia il romanzo di Andrea Ferrari, di cui avevamo già recensito “Odio“.
Un protagonista ambiguo e disagiato che vive ai margini e tenta di sopravvivere dopo essere uscito dal manicomio. Un lavoro precario in fabbrica il cui contratto sta per scadere, un appartamento in concessione condiviso con un coinquilino borderline, un’auto scassata e avventure in videochat .
La sua vita non riesce a recuperarla, sembra che per lui non ci sia niente di più che un abbonamento in palestra e qualche sera in discoteca. Poco per volta i pezzi vanno a posto, così sembra, e il protagonista trova un impiego come progettista, la pubblicazione di un romanzo e una donna che poco per volta diventa la sua fidanzata. Ma la serenità non può durare a lungo ed ecco che di nuovo tutto precipita. Non c’è possibilità di redenzione, probabilmente, la sua volontà non è forte a sufficienza da credere in un cambiamento. Uno stile asciutto e diretto, che trattiene il lettore una pagina dopo l’altra senza mai allentare il ritmo.
Estratto:
Entrai nel mio appartamento gentilmente concesso dal Dipartimento di salute mentale. Era già quasi un anno che vivevo qui, ormai otto mesi passati. Ero a metà della mia vita, avevo trent’anni quasi compiuti, senza una donna che mostrasse interesse verso il sottoscritto, pochi soldi sul conto in banca, alcuni amici con cui ormai avevo poco a che spartire e, un’auto vecchia di sedici anni, ridotta male.Un quadro poco confortante.