“Città sommersa” – Marta Barone (Bompiani)

“Città sommersa” di Marta Barone, Bompiani 2020

Il libro “Città sommersa” di Marta Barone (Bompiani, gennaio 2020) è arrivato alla sesta edizione in pochi mesi: quella che ho acquistato io, infatti, è di settembre. Vincitore del Premio Vittorini di Siracusa, narra di un quindicennio molto importante per l’Italia: gli Anni di piombo, visti da un’ottica privilegiata.

Di cosa si tratta? Alla soglia dei suoi trent’anni l’autrice perde il padre, con cui non ha vissuto. Per caso realizza che in giovinezza, in un tempo che precede la sua conoscenza con sua madre, è stato molto attivo nel Gruppo comunista degli anni Settanta “Servire il popolo” e che è stato sfiorato dalla degenerazione verso la violenza che poi è dilagata come un virus. Marta vorrebbe saperne di più. Vorrebbe poter dire “Papà, raccontami. Papà, perché? Papà, com’era?”, ma è troppo tardi. Sottopelle capisce che le risposte a quelle domande possono ricongiungerla al genitore e allo stesso tempo a sé stessa.

“Come si genera in un uomo il destino della compassione, quella pietà arroventata di cui parla Marguerite Yourcenar (…), come accade che si riceva “il terribile dono di vedere in faccia il mondo com’è?”

Sapere, dunque, diventa un’urgenza. E lei insegue questa urgenza come un’investigatrice, parlando con i testimoni dell’epoca, documentandosi. Il risultato è un ritratto lucido di quegli anni così difficili per l’Italia, in cui uscire di casa era diventato pericolosissimo. Per capire: nel febbraio 1979 Torino veniva da trentasei attentati in meno di sessanta giorni a Milano l’organizzazione armata “Prima Linea” uccideva il giudice Alessandrini “perché bisognava sfuggire al temibile pericolo che questi giusti rendessero accettabile l’istituzione statale”.

Punti di forza.

La scrittura, in “Città sommersa”, è un mare. Ci si lascia andare come un morto a galla e fa tutto lei. La scansione temporale è abbastanza lineare, ma necessariamente per alcuni eventi si deve spostare in maniera imprevedibile: eppure in questi sbalzi temporali ci sentiamo accompagnati. Considerando che il libro è nato da una raccolta di molte testimonianze, e che queste testimonianze sono collegate a periodi diversi bisognosi di relativa contestualizzazione, l’armonia del risultato finale è sorprendente, quasi miracolosa.

Però, però, però…

Per raccontare questa storia collettiva, Marta Barone ha dovuto raccontare la storia del singolo. Per raccontare la storia del singolo, però, deve a tratti raccontare anche la sua. Così in alcuni passaggi la narrazione rallenta per indugiare su un elenco di canzoni o di letture, oppure sulle giornate che Marta attraversa quasi senza autoconsapevolezza.

“Aveva consegnato volentieri il suo libero arbitrio, senza pensarci due volte. Ne aveva bisogno. Ne aveva bisogno perché voleva il bene. Ma ora, a strappi, quasi senza che se e rendesse conto, sentiva che il bene non si trovava più dove aveva creduto di trovarlo.”

Ho ammirato la sua capacità di camminare sul bordo dell’autoreferenzialità senza caderci dentro: il mare continua a cullarci anche incontro a questo dono bellissimo che lei ha, non solo di percepire il tempo come un flusso continuo ma anche di saperlo raccontare.

Marta Barone ha un privilegio: la distanza anagrafica dai fatti raccontati. Qualcuno che li ha vissuti mi ha confessato di aver compreso alcune dinamiche solo leggendo “Città sommersa”. Lei riesce a proporli con correttezza e onestà intellettuale. In questo modo avvicina la sua (la nostra) generazione a quella che l’ha preceduta: rende il racconto di quegli anni non una trasmissione di saperi, bensì un arricchimento tra pari. Consigliato.

Ho letto questo libro perché scelto come condivisione di dicembre dal Club del libro della Libreria Primo Moroni di Pescara.

Cristina Mosca