Bella mia – di Donatella Di Pietrantonio

Bella mia

di Donatella Di Pietrantonio

Einaudi

Dal sito dell’editore

Ritrovarsi alle prese con un adolescente taciturno e spigoloso che è quasi uno sconosciuto, inventarsi madre quando quell’idea era già stata abbandonata da tempo. È ciò che succede a Caterina, la protagonista di Bella mia, quando Olivia, la sorella gemella che sembrava predestinata alla fortuna, rimane vittima del terremoto dell’Aquila, nella lunga notte del 6 aprile 2009, lasciando il figlio Marco semiorfano. Il padre musicista vive a Roma e non sa come occuparsene, perciò tocca a Caterina e alla madre anziana prendersi cura del ragazzo, mentre ciascuno di loro cerca di dare forma a un lutto che li schiaccia. Ma è in questo adattamento reciproco, nella nostalgia dei ricordi, nella scoperta di piccole felicità estinte, nei gesti gentili di un uomo speciale che può nascondersi la forza di accettare che il destino, ancora una volta, ci sorprenda. Bella mia è un romanzo di grande intensità che parla con un linguaggio scarno ed essenziale dell’amore e di ciò che proviamo nel perderlo. Ma soprattutto della speranza e della rinascita: la rinascita di una città squassata dal sisma e la rinascita ancora piú faticosa della fiducia nella vita.

Recensione

Dopo aver letto l’Arminuta, sono rimasta letteralmente stregata dalla scrittura di Donatella Di  Pietrantonio. Lei sa come incantare il lettore! Attraverso le sue parole, forti ed efficaci, il romanzo si presenta davanti ai tuoi occhi ben definito, chiaro come un film. Il suo stile, autentico, come pochi, non perde mai di sostanza. Spesso capita che alcuni autori, pur di essere originali,  anche tra i più bravi, si perdano in sofisticati paroloni. La Di Pietrantonio no!

Lei sa essere particolare senza mai danneggiare la fluidità dei suoi lavori, in una parola unica!

In ‘Bella mia’ mi è piaciuta di meno rispetto all’Arminuta, ma ho comunque goduto delle sue parole.

La storia è molto forte, è intensa, per forma e per contenuti. Una data: 06/09/09, terremoto dell’Aquila. Un sisma che ha schiacciato un’intera città,

una tragedia che ha colpito numerose famiglie. La nostra autrice ci ha fatto rivivere la memoria di quegli eventi. Ci ha fatto sentire, con linguaggio diretto e, come sempre efficace,  ciò che si prova a perdere l’amore e quanto sia faticoso rialzarsi dopo essere stati schiacciati da un lutto importante.

 Caterina, la protagonista, si trova a far da madre a Marco figlio della sorella gemella Olivia. La sorella più forte, la sorella piena di vitalità, che sembrava destinata ad essere la più fortunata.

Il nostro personaggio principale anche prima della sciagura si accontentava della luce riflessa della gemella tanto amata. Caterina appare come afflitta da sempre da un senso di inadeguatezza, che la portava ad appoggiarsi alla gemella in apparenza più forte, brillante, solare. Aveva rinunciato a vivere una vita tutta sua, non aveva nemmeno preso in considerazione l’idea di diventare madre, un giorno. Perdendo, definitivamente, nonostante la sua giovane età, la possibilità di esserlo insieme al terremoto e alla morte di Olivia. Gli eventi, poi, l’hanno voluta  proiettata, da un momento all’altro, in una maternità necessaria, e complicata dal lutto che condivide con il nipote adolescente. Intrecciando con quest’ultimo un rapporto articolato e difficile, i cui angoli riuscirà a smussare solo attraverso una percorso di crescita personale.

Il racconto scivola tra ricordi e nostalgie attraverso numerosi analessi e prolessi, a volte ben riusciti, a volte, a mio avviso, dispersivi, lasciando il lettore in un limbo spazio/temporale. La Di Pietrantonio ci parla, soprattutto, di ricostruzione. La ricostruzione di una città messa in ginocchio, la ricostruzione di famiglie che trovano la forza di rinascere nonostante i rami amputati. Una rinascita lenta, faticosa, possibile solo attraverso la fiducia nella vita e l’amore.

L’esigenza narrativa della Di Pietrantonio si sviluppa principalmente intorno al tema del terremoto, i personaggi del libro sono un pretesto per parlarci di questo e sicuramente l’intenzione è ben riuscita, anche se delle loro vite, di come realmente se la caveranno Marco e suo padre e, se e come, l’uomo gentile che si fa avanti con Caterina sarà in grado di prendersi cura di lei è molto confuso. Il lettore resta un po’ con l’amaro in bocca, vorrebbe sapere di più, entrare nelle vite dei personaggi, sfuggenti e poco caratterizzati. Alla fine del romanzo, vorresti leggere ancora, perché l’autrice, con consapevole avarizia, sembra averti dato troppo poco. Sicuramente, l’attaccamento così forte alle parole di un romanzo è un pregio, e questo è vero anche nell’Arminuta, rappresentando senz’altro grande  valore dello scrittore, ma in “ Bella mia” sembra quasi  ci si trovi  in una situazione di irrisolutezza, come tutto fosse ancora da compiere e a noi non  fosse dato sapere …  

Ne consiglio vivamente la lettura, magari prima dell’Arminuta come romanzo “scoperta” dell’autrice e, come sempre, vi lascio in compagnia di alcuni passaggi che mi hanno colpito.

 Buone letture!

questo scorcio così nero della notte è sempre dedicato a lei, mi manca senza pietà mentre dorme il dolore degli altri due…

…Ci guardiamo un attimo, io e lei, una sola lacrima felice le bagna la profondità di una ruga. Nostro nipote tornerà, almeno per un altro anno scolastico. Così sembra adesso, all’inizio dell’estate…

 

Mariarosaria Conte