Polvere.
Caldo.
Povertà.
Eppure non c’è quella voglia di riscatto, quella spinta a mordere e far del male pur di emergere. A Durton, o Dirt Town come la chiamano loro, sembrano tutti rassegnati al proprio destino. Lo accettano come accettano il caldo australe, la terra rossa e la violenza domestica.
La scrittura della Scrivenor è precisa e polverosa al tempo stesso, mentre leggevo sentivo addosso la polvere, quella sottile che non se ne va. E avvertivo il caldo soffocante, di quando anche respirare ti fa sudare. Ricordando quando da piccola le macchine non avevano l’aria condizionata e i viaggi erano un bagno di sudore.
In questo scenario una bambina scompare. Esce da scuola, saluta la sua amica e poi nessuno ne sa niente per 3 giorni, fino a quando la ritrovano morta, sepolta in un sacco di plastica.
Il dolore sordo e paralizzante della madre, le accuse che tutti si lanciano più o meno apertamente. Non ci sono legami che tengano, tutti nascondono qualcosa e potrebbero nascondere ben di peggio.
La verità è che la paura del dolore trasforma il dolore in qualcos’altro, qualcosa di più grande, qualcosa di peggio. Puoi riempirti di paura, come i cacatua che si radunano intorno ai silos di farina, rimpinzandosi dei chicchi caduti fino a non riuscire più a volare.
Un libro antico e moderno. Antico perché, benché ambientato solo vent’anni fa, sembra un’altra epoca: niente cellulari e, come detto, pochissima aria condizionata.
Un paese vischioso, con legami e conoscenze reticolari.
Un libro da leggere per chi aspetta una scusa per cambiare vita, per chi si aspetta di vedere i canguri dalla finestra della cucina al tramonto e per chi ama le storie che parlano delle persone.
Ringraziamo la casa editrice per la copia cartacea