“Il buon uso della distanza” di Vito di Battista (Gallucci)

“Il buon uso della distanza” è un romanzo di Vito di Battista che è stato pubblicato da Gallucci alla fine del 2023. Mi sono incuriosita quando ho scoperto che l’autore è mio conterraneo (è di San Vito Chietino, in Abruzzo) e soprattutto quando ho capito che la trama del libro è liberamente ispirata alla vita di Romain Gary, autore che mi piace leggere ma che conosco ancora troppo poco.

Cos’è “Il buon uso della distanza”

Sin dalle prime pagine entriamo subito nella vicenda: a nessuno si nega la pubblicazione di un’opera prima, ma solo qualcuno arriva alla seconda. Così, Pierre Renard coglie l’occasione inaspettata fornita da una una mecenate misteriosa: Madame gli propone di finanziare i suoi prossimi romanzi a patto che lei ci si possa ritrovare.

“Siamo tutti guidati da un disperato bisogno di debolezza”

Lui allora mette in moto una macchina diabolica per pubblicare una serie di romanzi con nomi diversi, ma non si limita a questo: ai nomi fa corrispondere dei complici, dei falsi documenti, delle menzogne. Ma di cosa si nutre, il mercato editoriale, in fondo? Non sono forse dei personaggi, quelli che si muovono dietro la firma di un romanzo?

Punti di forza

L’apparato de “Il buon uso della distanza” è a più strati, perché si muove continuamente tra l’apparenza, la sostanza e un ulteriore piano allegorico.

La scrittura è suadente e ci accompagna attraverso le riflessioni sul mercato editoriale e sul fare letteratura: alcune sono strettamente legate agli anni Settanta, ma la maggior parte di loro è valida ancora adesso e questo aspetto è molto interessante.

“Ho steso allora le gambe e socchiuso le palpebre, lasciando che la luce delle sette di sera si prendesse tutto di me: ecco cosa si provava a essere al mondo senza appartenergli davvero.”

Il piano allegorico che mi è piaciuto riconoscere rispecchia il dilemma atavico di chi sceglie un mestiere creativo: lo si intraprende per amore e per ispirazione, ma se lo si vuole svolgere a tempo pieno si deve scendere a patti con il mercato. Sarà per questo che l’unico contatto tra Pierre e la misteriosa Madame avviene tramite un’intermediaria in una casa chiusa, luogo simbolo della mercificazione? C’è poi differenza tra il vendere il proprio corpo o le proprie parole? È interessante come questa stessa intermediaria riesca a non essere contaminata dal proprio mestiere (non vi spiego in che senso, lo scoprirete da soli).

“Siamo sempre in compagnia di tutte le altre versioni di noi”

Altrettanto simbolico, secondo me, è il patto tra Madame e Pierre, perché capovolge il famoso “patto narrativo”: il lettore non si affida al narratore, anzi lo imbriglia e ne diventa il datore di lavoro. Anche questa è una interpretazione, non tanto infondata, di alcuni fenomeni del mercato editoriale contemporaneo.

Però, però, però…

Sarà l’ambientazione in Francia, Paese che pratico poco, o sarà il necessario avvicendarsi di personaggi e nomi, ma ho trovato poco agile addentrarmi nella storia e nelle sue dinamiche, io che ho bisogno del libretto di istruzioni se guardo un film di spionaggio.

Parallelamente a quella principale si innestano alcune microstorie, come quella di Nadine. Sono un veicolo efficace per mostrare alcune relazioni e farne nascere altre, di interesse e contropartita; però ne ho vista la funzionalità solo alla fine. Nel frattempo, un pochino ho faticato a tenere la barra a dritta.

“Non sempre arriva la primavera, soprattutto nei vicoli più angusti di Parigi. A volte passa senza farsi sentire, oppure alza la voce ma siamo noi che non ci accorgiamo di lei, impegnati in chissà cosa, distratti da chissà cos’altro”.

“Il buon uso della distanza” ha di fondo un’applicazione etica universale, su cui il lettore si trova a interrogarsi. Non si tratta semplicemente di ragionare sulle identità – vere, false costruite –, o sulle provocazioni al mondo editoriale: a mio parere, tutto questo è solo la punta dell’iceberg.

“Uno scrittore serve per rimediare alla distanza e al disordine. Se non riesce a fare almeno una di queste cose, è uno scrittore fallito. O forse non è mai stato uno scrittore fin dall’inizio”.

Il punto focale è nell’Estetica: nel potere seduttivo della sfida di per sé stessa su una personalità potenzialmente narcisista. È inutile provare a sostenere il contrario, si scrive per essere letti, lo diceva anche Italo Calvino. Pierre non accoglie la sfida di Madame per soldi o per fama: Pierre è convinto che gli basti esercitare il suo talento, perché lui vuole essere semplicemente pubblicato, vuole essere letto. È un po’ come scegliere di sposarsi per non restare nubili o scapoli.

Così, come in ogni scelta compiuta per fame, anche qui i risvolti negativi arrivano presto.

“Ero diventato un’eccezione e loro non lo avrebbero mai saputo.”

Se avete bisogno di un motivo in più per leggere “Il buon uso della distanza”, sappiate che può essere pensato anche come giallo, perché alla fine il mistero di Madame lo risolveremo. Scopriremo anche quante soluzioni possibili ci sono alla situazione in cui si trova invischiato Pierre. E quale sceglierà.

Cristina Mosca