“Il colore viola” di Alice Walker (Sur)

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“Il colore viola” di Alice Walker (Sur 2019)

“Il colore viola” è un romanzo del 1982 della scrittrice e medium Alice Walker. Vincitore del Premio Pulitzer nel 1983, dal 1985 è un noto film diretto da Steven Spielberg, con protagonista Whoopi Goldberg. Era un po’ che avevo l’edizione BigSur 2019 tra i miei scaffali, poi è arrivata la #sfidaleggoacolori2023 di Fra a farmelo tirare fuori per il colore del mese di settembre (il viola, appunto).

Cos’è “Il colore viola”

Scritto nella forma epistolare, “Il colore viola” ci fa assistere allo svolgimento di due vite che sono costrette a correre su binari paralleli: Celie e Nettie sono sorelle molto legate e a un certo punto vengono separate.

Celie continuerà a conoscere le amarezze della violenza domestica e di un matrimonio senza amore, Nettie va in Africa come missionaria.

Entrambe si scrivono ma nessuna riceve notizia dell’altra. E non sanno se si vedranno mai più.

Punti di forza

L’ambientazione tra le comunità nere mi conquista quasi sempre. Nonostante ricordassi abbastanza bene il film (o credessi di ricordarlo) mi sono trovata davanti a una narrazione nuova. Coinvolgente, semplice, focalizzata sui fatti. Rispetto al film subentrano dinamiche di sorellanza più forti. Senza giudizio viene sfiorato il tema dell’omosessualità, anzi viene presentato come sodalizio e ristoro naturali.

“Ma lui è mio marito. Alzo le spalle. Questa vita finirà presto, dico. Il paradiso dura in eterno”.

Come nel film, Celie è pragmatica, semplice, lineare, di poche parole. Tiene tutto dentro anche quando scrive, non eccelle nelle facoltà espressive, ma trova spesso le parole giuste. Il suo carattere è mite, sottomesso. È una donna che non è mai stata amata, anzi ha subìto violenza, anche sessuale, sin da piccola.

Quando arriva qualcuno ad amarla e a prendersi cura di lei, comincia a credere in sé stessa. Diventa lei il centro della sua vita e tutto si sistema di conseguenza. Questo è un messaggio oltremodo positivo.

“Prova a immaginare una città piena di queste persone lucenti e corvine con indosso tuniche di un azzurro brillante a disegni (…). Ho avuto l’impressione di vedere il nero per la prima volta. (…) il nero è così nero che l’occhio ne rimane abbagliato”

Un altro punto di forza che ho apprezzato molto è il punto di vista della comunità nera nei confronti dei neri occidentali, quelli “civilizzati”. Ci sono pagine molto interessanti che ripercorrono le origini della schiavitù e descrivono il ricongiungimento degli afro-americani con gli africani, che non è tutto rose e fiori.

Infine, devo ammettere che il colpo di scena finale mi ha fatto versare qualche lacrima.

Però, però, però…

Tecnicamente, “Il colore viola” mi ha stupito e mi ha fatto riflettere moltissimo sul libro perfetto, perché non si sviluppa su una tema solo, bensì siamo di fronte a due romanzi: uno è sulla vita di Celie, l’altro sulla vita di Nettie. Sono due avvenimenti totalmente distinti, che non confluiscono in nessun modo. Sembra quasi che il viaggio di Nettie in Africa sia stato un pretesto per introdurre l’argomento più caro all’autrice, slegato dal tema principale.

Però mi sono chiesta se questa narrazione avrebbe ancora spazio al tempo odierno; mi ha fatto tornare in mente i miei dubbi su “Cambiare l’acqua ai fiori” e “Le regole della casa del sidro“.

Il finale, inoltre, manca di spiegazioni. Riceviamo molti dettagli su tutti gli altri personaggi tranne che su uno degli eventi più di impatto del libro.

“(…) ci siamo inginocchiati proprio lì sul ponte e abbiamo ringraziato Dio per averci permesso di scorgere la terra per cui le nostre madri e i nostri padri hanno versato tante lacrime – sono vissuti e morti – nella speranza di rivederla”

Quando si decide di affrontare la lettura de “Il colore viola” si deve tenere conto che si sta per leggere di violenza domestica, ignoranza, patriarcato. Di donne che lottano. E, come sottolinea Alice Walker nell’introduzione del 2006, di Dio.

“Di’ la verità, l’hai mai trovato Dio in chiesa? Io mai. Ho trovato solo una caterva di gente che sperava che lui si facesse vedere. Quel poco di Dio che ho mai sentito in chiesa me l’ero portato dietro io. (…) Vanno in chiesa per condividere Dio, non per trovarlo.”

Viene sollevata una questione notevole: cosa può rappresentare la religione cristiana per un afroamericano, se tutta l’iconografia relativa presenta solo uomini bianchi? Inoltre c’è da notare che le due sorelle continuano a scriversi a vicenda pur senza ricevere mai risposta, tanto che a un certo punto per Celie diventa quasi uguale indirizzare le sue lettere a Dio o a Nettie. Eppure continuano. Come il più autentico attestato di Fede.

Cristina Mosca