La casa al civico n 6 – Nela Rywikovà (Le Assassine)

La casa al civico n 6 di Nela Rywikovà (Le Assassine)

La casa al civico n 6 parla di povertà umana. Quella povertà che nasce prima dall’animo per arrivare solo dopo al portafogli.

Persone piccole, misere, chiuse in quattro mura, il loro corpo, il panorama e le loro aspettative. Persone che non vogliono e non riescono a vedere oltre. La casa al civico n 6 è la miseria d’animo, la piccolezza, la cattiveria, il non aiutare. Non la peggiore della specie umana: sono tutte persone che hanno avuto possibilità nella vita, che a un certo punto ce l’hanno anche fatta, ma che sono cadute perché incapaci di credere di potercela fare davvero o di resistere alle sirene del vizio. Sono persone che un minimo di conoscenza del mondo fuori dalle loro mura ce l’hanno, eppure hanno preferito rinchiudersi.

Inizia tutto con Adam Vejnar, giovane poliziotto, che riceve la telefonata della madre di Prchal, sparito da mesi, in realtà ormai tutti pensano a un omicidio, ma non hanno né indizi né, men che meno, prove.

Vejnar appare un poliziotto improvvisato, a volte non si capisce come ragioni e come si muova, ma alla fine il caso lo risolve, e quello che trova sotto il tappeto è molto peggio di un po’ di polvere. È convinto che l’assassino sia uno dei condòmini.

La storia è ambientata nella repubblica ceca, la Rywikovà ci racconta di un paese deluso, di una classe operaia che aveva grandi aspettative e che si è ritrovata con un pugno di mosche in mano. Una gruppo di persone che rimpiange il comunismo, che è convinta che “si stesse meglio quando si stava peggio”, che non riesce a cogliere le opportunità, convinta che sia meglio restare nel pantano in cui si trovano. Puzzolente, certo, ma almeno familiare, hanno imparato a muovercisi senza affogare.

I litigi divennero il loro pane quotidiano, divertimento, sport, routine e svago. Se lei li considerava una piccola distrazione nelle sue giornate grigie, per il marito erano profondamente deprimenti. Per natura non cercava mai i conflitti o le emozioni. Al contrario. Godeva della pace immutabile, dell’ordine dello stereotipo, nel quale trovava sicurezza esistenziale e soddisfazione, i solchi battuti della vita, i soli lungo i quali sapesse camminare. Non sopportava nessuna forma di violenza morale, spesso mascherata da falso amore e premura, che lo circondava sempre a ogni suo passo.

Un’altra cosa che mi ha colpita e fatto sorridere, è stato leggere del loro razzismo, del sessismo, del darsi sempre ragione anche quando sono evidenti i torti. Era un sorriso amaro, perché lo facciamo un po’ tutti, solo che quando lo fanno gli altri, gli emarginati e poveracci che si permettono di essere razzisti, ci sembra assurdo. Come se quando lo facciamo noi invece non lo fosse.

La casa al civico n 6 è un’insieme di occasioni mancate e che pervicacemente, ostinatamente gli inquilini insistono a mancare, a rifiutare con tutte se stesse.

Ringraziamo la casa editrice per la copia digitale