“Lo straniero” – di Albert Camus (Bompiani)

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“Lo straniero” di Albert Camus, Bompiani 1970

Nel 1957 Albert Camus riceveva il Premio Nobel per la Letteratura: aveva solo 44 anni ed è tuttora il secondo più giovane a riceverlo (la più giovane è stata Malala, Premio Nobel per la pace nel 2014 a 17 anni). Quindici anni prima, nel 1942, l’algerino Albert Camus aveva pubblicato “Lo straniero”, arrivato in Italia con Bompiani nel 1947. L’edizione che ho trovato in biblioteca è del 1970.

“Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so”

L’incipit è molto famoso. Il libro, che in nessuna edizione supera le 170 pagine, continua tutto su questo tono. Ha frasi estremamente corte, apparentemente semplici, descrittive, denotative, con dei picchi connotativi molto interessanti (“il giorno mi colava sul viso”).

La trama ruota intorno a un omicidio accaduto ad Algeri in cui il protagonista si trova coinvolto senza saper spiegare perché. Come ogni cosa nel resto del romanzo, il crimine sembra semplicemente accadere e chi lo ha commesso sembra uno spettatore, piuttosto che un attore. Lo assume come un dato di fatto. Il protagonista viene processato e… il finale non ve lo raccontiamo.

Punti di forza

Ho trovato molto particolare lo stile de “Lo straniero”. La scelta che spicca di più è far conoscere il protagonista attraverso quello che registra con la mente. Per esempio sappiamo che è un taciturno giusto perché ci riferisce i commenti delle persone che lo circondano; nella sua testa, a volte, quasi per sbaglio nasce un pensiero che poi ritira.

“Tutte le persone normali, gli ho detto, hanno una volta o l’altra desiderato la morte di coloro che amano.”

Si tratta di pensieri contingenti, piccoli e brevi come idee che lampeggiano nel cervello. Mano a mano che si procede nel romanzo si ha l’impressione di scavare con pochi colpi secchi nella sabbia, inizialmente in quella asciutta, più leggera, poi sempre più a fondo, in quella più resistente.

Però, però, però…

Non conoscevo Camus e questo è il mio unico però. Non averlo mai incontrato è una lacuna del tutto personale, che per fortuna ho iniziato a riempire. È incredibile come il suo personaggio sembri avere pochissimo da dire. Riesce a esprimersi in una prosa semplicissima e allo stesso tempo ipnotizzante. È incredibile anche come, a un certo punto, pur senza grandi discorsi riesca a mettere in discussione l’esistenza stessa.

Consigliato.

Cristina Mosca