L’allieva
di Alessia Gazzola
Longanesi
Recensione
Ho iniziato questo romanzo per una concomitanza di situazioni, senza le quali, con ogni probabilità, non lo avrei mai letto.
La Gazzola aveva vinto da meno di una settimana il Premio Bancarella, l’avevo acquistato il giorno precedente con offerte Kindle per curiosità e avevo appena terminato di leggere “un caso speciale per la ghostwriter” di Alice Basso (qui la recensione), speravo di trovare qualcosa di simile. L’ho quindi iniziato con alte aspettative. Probabilmente l’averlo letto subito dopo la Basso non ha deposto a suo favore, ma leggendo l’Allieva mi sono domandata il perché di tutto questo successo. Non è male, ma non è un capolavoro e, secondo il mio modestissimo parere, non merita tutto il successo che ha. Soprattutto, ripeto, perché abbiamo un’Alice Basso che scrive lo stesso genere, con molti punti in comune, ma decisamente meglio.
La protagonista è una specializzanda in medicina legale la cui caratteristica principale è la goffaggine. Si sente incompresa e maltrattata dai suoi superiori che non ne comprendono le reali capacità né il suo impegno, qualità che, a dirla tutta, sfuggono anche al lettore. Si lascia abbagliare da bellezze effimere e anche il lettore ha l’impressione che non dedichi abbastanza tempo ed energie allo studio, nonostante le sia stato anticipato che di questo passo dovrà ripetere l’anno. Si ha quindi la fastidiosa sensazione che le sue lamentele siano solo questo: lamentele senza fondamento.
Alcune scene sono carine, anche divertenti, ma la Gazzola ha quest’abitudine di descriverci i personaggi nel dettaglio, appena li incontriamo. Ma tutte le scuole di scrittura non sconsigliano descrizioni tipo carta di identità?
Sofia Morandini de Clés. L’avevo già vista, in realtà, quella sera durante il sopralluogo, poco prima che venisse condotta in Procura. Appartiene a una famiglia italo-francese di antica nobiltà. I suoi antenati sono stati rettori universitari, presidenti del tribunale, notai. Lei è la classica esponente dell’upper class romana, sebbene non mi abbia dato l’idea di una persona altezzosa. È bionda, ma tinta, i capelli le sfiorano le spalle e gli occhi sono dorati, piuttosto insoliti e l’abbinamento conferisce una certa particolarità all’insieme. Il mento è sfuggente e il naso appuntito. Le forme sono morbide, le unghie rosicate e cortissime. Il portamento è quello delle persone che l’hanno sempre vinta, ma si vede benissimo che è scossa e addolorata. Più che altro, però, sembra terrorizzata. Non so se sia questo clima austero a sfinirla, o forse l’idea di essere pur sempre un’indagata. L’andatura è incerta, la sua intera fisionomia mi appare opaca. È debole, nel complesso.
Comunque, la lettura è scorrevole, anche se non entusiasmante. Leggerò il Ladro gentiluomo perché, fresco di premio, l’ho comprato.
Se volete passare qualche ora piacevole, potete leggerlo, ma lasciate da parte le aspettative, probabilmente la serie tv, per una volta, è meglio del libro.
Le righe sopra le ho scritte a un terzo del libro. Poi per curiosità, perché è un libro piacevole e per vedere se le mie ipotesi erano corrette, l’ho letto tutto. Procedendo un po’ migliora, anche se mantiene quella fastidiosa abitudine di descrivere un po’ troppo i personaggi, ma tant’è.
L’ho finito in un giorno. Avevo ragione su quasi tutto. Solo su un aspetto, la storia tra Alice e Arthur, ho sbagliato parzialmente. Questo per dire che non è un libro che sorprenda, che stupisca, ma è piacevole. E questo, a volte o spesso, dipende dai gusti, può bastare.
Daniela