“Papà Goriot” di Honoré de Balzac

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“Papà Goriot” di Honoré de Balzac (1835)

“Papà Goriot” (“Le Père Goriot”) è un romanzo di Honoré de Balzac pubblicato in serie durante l’inverno 1834-1835 e incluso nella sezione “Scene di vita privata” de “La Commedia Umana”.

Ambientato a Parigi nel 1819, parla di un padre che ha cresciuto da solo due figlie senza ricevere gratitudine in cambio. Viene usato come banca e si indebita all’osso per esaudire sempre le loro richieste, nonostante siano entrambe ammogliate e anche benestanti. Alla sua vicenda si interseca quella di un giovane ambizioso, Rastignac, che decide di sedurre le donne per la propria scalata sociale.

“Il giorno dopo Rastignac andò a impostare le lettere. Esitò fino all’ultimo istante, poi le gettò nella buca dicendo “Ce la farò”: il motto del giocatore, del gran capitano, motto fatalistico che perde gli uomini, anziché salvarli”

Punti di forza

Durante l’ascolto su Audible mi ha colpito tantissimo la vividezza delle descrizioni. Il romanzo è un esempio fulgido di narrativa realista, infatti. Sentire raccontare come “problematico” il colore del cappotto liso e guardare le borse sotto gli occhi del protagonista mi hanno permesso di essere in mezzo ai personaggi, di ascoltarne i pettegolezzi e le illazioni.

“Mentire non è abdicare?”

All’inizio la nostra attenzione è catturata dalle voci della gente che maligna sull’andirivieni di donne ben vestite nella stanza poverissima di papà Goriot. Solo tramite altre voci appuriamo che quelle donne sono le sue due figlie.

Paragonandolo al mio amato Emile Zola ho voluto cercare a De Balzac il difetto e devo dire che invece sono stata presa dalla storia. Tutto è stato vero; mi ha colpito come le ristrettezze di vedute, i pregiudizi, le trame e le dinamiche sociali ci vengano mostrati come dalle migliori tecniche narrative moderne.

Però, però, però…

Questa è la seconda possibilità che ho dato a Honoré De Balzac. La prima è stata “La donna di trent’anni”, che non ho recensito su questo sito, ma che mi ha lasciata interdetta per la rigidità dei personaggi e la poca empatia che trasmetteva.

A “Papà Goriot” non ho trovato subito il difetto, ma quando sono arrivata al monologo finale ho sentito il peso dell’autore.

“Spiro, soffro troppo… Tagliatemi la testa, lasciatemi soltanto il cuore”

Questa parte inizia come riflessione addolorata e delirante a causa della malattia, sulla difficoltà di ricevere un amore disinteressato da parte dei figli. Alla lunga, però, ho provato un po’ di insofferenza. Ho pensato che avrebbe funzionato bene anche se fosse stato più corto; invece il protagonista, che già ha dato convincente prove di magnanimità e devozione, è lasciato a piangersi addosso per un tempo indefinito, in attesa spasmodica delle figlie. L’ho trovato un pathos tirato all’estremo e che si avvicina pericolosamente al patetico.

Alla fine la voglia di provare compassione per lui è stata superata dal sospetto che si trattasse di una voce inattendibile e ho quasi perso interesse in quello che diceva.

“La gioventù non ardisce osservarsi nello specchio della coscienza, incline all’ingiustizia, mentre l’età matura vi ha guardato dentro”

A conti fatti, la lettura di “Papà Goriot” lascia un esempio proficuo e coinvolgente delle ambizioni e dell’opportunismo delle persone. Un dipinto così realistico che alla fine ci sentiamo un po’ meschini anche noi. Da leggere.

Cristina Mosca