Portami dove sei nata – Roberta Scorranese (Bompiani)

copertina portami dove sei nata
Roberta Scorranese “Portami dove sei nata” Bompiani 2019

Accade che passiamo i primi venti anni della nostra vita a cercare di andare via di casa e tutti i successivi a cercare di tornarci. Con “Portami dove sei nata” (Bompiani 2019), Roberta Scorranese inizia il suo ritorno in Abruzzo mostrandolo a chi non lo conosce. Lo fa raccontandone le storie molteplici che nascono intorno alle persone che lo abitano e che lo animano nel tempo e nello spazio. Si aggancia agli aneddoti famigliari, di quelli che tra le quattro mura domestiche diventano virali, quasi delle metafore, e ce li restituisce come se fossero il dipinto a tempera di una intera comunità, vivido, carnale e colorato.

Al centro della storia c’è questa grande casa Scorranese, che dagli anni ’40 è stata teatro di amori, “peccati grossi”, sacrifici e grandi decisioni. Tutto parte da nonna Chiarina e nonno Gino, messi insieme dalla buona creanza prima ancora che dall’amore, ma che nonostante le premesse hanno viaggiato per un’intera vita fianco a fianco, in nome dell’idea sacra di famiglia. Il resto è fatto da storie di fratellanza, parentele, relazioni “mantenute vive dai morti”.

“Forse sperava in un segnale. Qualcosa che le confermasse che anche lei faceva parte – in qualche modo – di quella famiglia. (…) Era una strana parentela concepita dal tempo.”

Punti di forza.

La copertina. Cosa c’è di più nascosto, mistico, feroce, simbolico e mutevole delle serpi? Gli stessi aggettivi stanno bene addosso alla mia regione, l’Abruzzo.

Roberta Scorranese è una giornalista del Corriere della Sera e vive a Milano, ma il suo amor patrio è tutto per questa terra di mezzo.

Fino a 19 anni ha vissuto a Valle San Giovanni, un paese in provincia di Teramo che oggi conta duecento anime e non ha neppure la farmacia. Oggi inizia a ricongiungersi alla sua identità cercandosi fra le espressioni dialettali, la forza e l’intraprendenza della sua gente, la capacità di adattarsi, la generosità e la ruvidezza.

Però, però…

Vedo solo una piccolissima crepa, in “Portami dove sei nata”, dal mio punto di vista del tutto personale. Semplicemente ho un debole per le saghe famigliari e mi sarebbe piaciuto di più se l’atmosfera così sapientemente ricostruita dal’autrice fosse stata mantenuta per tutto il libro. Le incursioni nel presente, con le storie (necessarie) di miracoli e ricostruzioni, raccontano benissimo di un Abruzzo che non si ferma, ma allo stesso tempo diluiscono anche un filo narrativo che si ama subito e a cui si desidera restare ancorati. Per me è stato come sentire interrompere un atto liturgico dalla suoneria di un cellulare. Insomma, avrei solo voluto più tempo insieme ai personaggi di Casa Scorranese.


“Erano giorni robusti, fortificati dalla certezza che mai più sarebbero tornati. E dalla convinzione inconfessata che mai più saremmo stati così amati e odiati, perché i miracoli non hanno vie di mezzo: ci sono o non ci sono.”

“Show, don’t tell”, vuole una regola basilare della narrativa contemporanea. L’autrice ci riesce bene, a mostrare le sue storie. La sua è una scrittura fiorita e colloquiale in terza persona, in cui non stonano le poche incursioni dell’io narrante perché è proprio come ascoltarla sedute a tavola, bevendo insieme un caffè sulla tovaglia cerata a fiori e melograni. Uno stile informale, masticato bene, che non cade nella confidenza ma che aiuta l’immedesimazione e la compartecipazione. E che sa anche commuovere.

Cristina Mosca