Blogtour: il caso Léon Sadorski (Fazi)

Quinta e ultima tappa del Blogtour per “Il caso Léon Sadorski” di Romain Slocombe, edito da Fazi

Parliamo dei personaggi.

Ci sono molti personaggi che compaiono in questo romanzo, alcuni apparentemente secondari, ma le cui azioni hanno conseguenze importanti per lo svolgimento.

Parleremo solo di alcuni, non per forza i più importanti. Nessuno di loro ne esce bene, anzi, nessun personaggio in tutto il libro ne esce bene; tutti approfittatori, manipolatori, doppiogiochisti, vanesi… Un libro che racconta uno dei periodi più bui dell’umanità dall’interno di uno dei posti peggiori, non dove avvenivano le violenze (anche, ma non solo), ma l’anticamera. Un libro che parla dei luoghi e delle persone che consapevolmente condannavano persone innocenti e che si raccontavano che lo facevano per il bene dell’umanità.

Gli uomini comuni da cui è formato lo Stato – soprattutto in tempi instabili -, ecco il vero pericolo.

Partiamo dal protagonista: Léon Sadorski.

Impiegato presso la polizia parigina, sezione questioni ebraiche, abbraccia senza domande il punto di vista del più forte. Bisogna rastrellare gli ebrei? Nessuna problema! C’è il rischio che la scusa della razza non sia sufficiente per allontanarli da Parigi e mandarli nei campi? Basta aggiungere comunista, rivoluzionario, attività sospette o altre forme più vaghe che però non lasciano scampo. Poco importa che siano vere o no, i dubbi non devono essere fondati, l’importante è far fuori gli ebrei, che in ogni caso sono colpevoli. Non si pone domande il caro Léon. A lui basta compiere il proprio lavoro, ricevere elogi dai suoi superiori e tornare a casa da sua moglie Yvette che, parrebbe, esiste per il solo scopo di farlo sfogare a letto e dargli soddisfazione. Insomma, una personcina perbene, che esegue gli ordini in maniera accurata e coscienziosa, il collaboratore che tutti vorrebbero. Poi però succede che viene incarcerato per sospetto tradimento. E anche lì, in prigione, riesce a dare il meglio di sé: accusa un ebreo a caso di un crimine che non ha commesso, così il poveretto paga per un altro il prezzo peggiore. E Léon, finalmente, prova un po’ di pena. No, non per l’ebreo, per se stesso, per la fine che potrebbe fare. Se ne ricorderà di quell’uomo, quando un ufficiale tedesco corteggerà sua moglie. In quel momento, preso dalla gelosia, si rende conto che forse i tedeschi hanno esagerato quella volta nel picchiare quella persona per quanto colpevole fosse (era era, colpevole ancor prima di nascere). Per il resto, anche dopo, continuerà a rastrellare gente a caso, per fare numero e accontentare i superiori. “Io ho sempre fatto quello che mi è stato ordinato”, dirà. Si intravede un briciolo di umanità, verso la fine. Ma è più perché nessun uomo è cattivo al 100%. Non è umano, di certo non buono o generoso, è solo egoista, manipolatore e approfitta delle situazioni. Se può trarre ricavo dall’essere generoso e magnanimo, allora così si mostra. Sempre solo di facciata, in attesa di poter fregare il prossimo. Convinto di essere una brava persona.

“Permettete, collaboratore non lo sono, e nemmeno poveraccio!… State esagerando. Ho fatto il mio dovere di poliziotto, ho eseguito gli ordini, ecco tutto.”

Yvette: è la moglie di Léon, figura evocata di continuo, ma che ha poche battute. Da quel poco che si sa si direbbe una donna frivola, che non ha voglia di sapere che cosa faccia davvero suo marito, le basta vivere nell’agio, uscire a teatro, con le amiche, non patire troppo la guerra, sentirsi bella e desiderata. La moglie ideale per Léon, tradimento compreso.

Lousille: ex capo di Sadorski. Inizialmente verrebbe da empatizzare con lui, non fosse che per contrapposizione al protagonista, ma poi si scopre che sì, forse non è accanito come Sadorski o sadico come altri, ma la sua codardia e ignavia non sono meglio. Non si espone perché incapace di avere un pensiero suo, mellifluo, cerca di compiacere i tedeschi senza però avere nulla di concreto. Viene incarcerato a Berlino con Sadorski e finge di collaborare. O meglio, collabora senza scrupoli, sapendo di condannare altre persone, ma l’importante è che non paghi lui. Del resto i tedeschi un colpevole lo vogliono e quindi bisogna darglielo.

Albers: generale tedesco. Compare nella prima parte, nel carcere di Berlino. È lui che picchia l’uomo accusato ingiustamente da Sadorski e che poi lo lascia nelle mani dei suoi colleghi, decretandone una fine atroce. Violento, sadico, un altro che ha trovato nel suo lavoro la valvola di sfogo per le sue pulsioni peggiori. Si diverte a picchiare e torturare. A Parigi corteggerà Yvette e frequenterà i bordelli, ufficialmente per lavoro.

Che dire? Non c’è un solo personaggio positivo; per trovarlo bisogna cercarlo tra quelli minori, le comparse. Slocombe ci racconta di un ambiente in cui non c’è da fidarsi di nessuno, in cui vige la regola del mors tua, vita mea. Un posto dove sono banditi i buoni sentimenti, le simpatie, le cortesie,… Un luogo fortemente gerarchizzato dove non sai mai quando arriverà il tuo turno. L’unica certezza è che prima o poi arriva.

Daniela