Quando leggo una silloge di racconti mi viene spontaneo, mano a mano che procedo nella lettura, stabilire quale sia il racconto che mi è piaciuto di più. Non fa eccezione questa raccolta, ma questa volta non posso decretare nessun “vincitore”. Ogni racconto è un mondo, il nostro mondo, anche quando sembra lontano. Le autrici hanno saputo prendere aspetti della vita quotidiana, in particolare l’appiattimento cui tendiamo tutti, e hanno dato loro una nuova vita, una nuova veste. Logora e consunta, e per questo ricca di storia da raccontare.
Condominio Noir ve lo voglio raccontare al contrario, dall’ultimo. Un racconto di Sara Fattorini che ha suscitato in me sensazioni particolare per essere un noir e che mi ha portata a fare riflessioni.
Una perdita che potrebbe essere un omicidio oppure no. Unico racconto non ambientato in Liguria, mi è entrato sotto pelle e lo sento ancora scorrere. Una perdita che segna non solo i familiari che la subiscono, ma anche persone non direttametne collegate.
Due quattordicenni che sceglieranno di impostare la loro vita sulla base di quella perdita , di ciò che ha prodotto in loro, del significato. Cercano di colmare un vuoto, di affrontare un qualcosa più grande di loro, ognuno a modo suo. E sono due modi opposti.
La perdita di un figlio è la cosa peggiore che possa capitare, ma se per di più non c’è nemmeno un corpo su cui piangere, diventa impossibili elaborare il lutto. La morte ha bisogno dei suoi riti per essere elaborato, lo abbiamo imparato molto bene in questi due anni.
E poco importa il finale, che ci sia o no risoluzione al cold case, quello che mi resta di questo racconto è la potenza di certi avvenimenti, di come, a seconda della narrazione che ne facciamo e di mille altri fattori, possano incidere sulle nostre scelte, sul nostro modo di essere. A 14 anni si è nel pieno della propria strutturazione: la scomparsa di una propria coetanea quali segni e cicatrici può lasciare?
E poi c’è il racconto di Paola Rinaldi, in cui a morire è un “coglione” che fa una morte degna del suo soprannome. Anche qui non è stata tanto la storia o il finale a colpirmi, quanto tutta l’ironia e il modo di raccontare le vicende umane. Tutte. Non dico altro per non spoilerare, che già col primo racconto vi ho detto fin troppo!
Livia Sambrotta, Cecilia Lavopa, Lucia Tilde Ingrosso e Luisa Gasbarri ci presentano 4 racconti molto diversi tra di loro il cui fil rouge è la tristezza del movente, la sua inconsistenza, una ragione senza senso, più una scusa, che una motivazione reale.
“Che cosa fai oggi?”
“Mah, quasi quasi uccido quella stronza che non ha risposto al mio sorriso”.
E bada bene, la tristezza, la rabbia e il disgusto non sorgono per i racconti, ma perché sappiamo fin troppo bene che rispecchiano la realtà. Uomini che uccidono donne perché queste non vogliono stare con loro, competitor che si uccidono per nascondere la propria incapacità, il vuoto dentro che non sa come riempirsi. Gente che non conosce davvero il valore della vita, se pensa che tutto si riduca a un riconoscimento esterno, al mantenere le apparenze, al non mostrarsi vulnerabili.
La tristezza e la meschinità dell’animo umano non hanno limite e queste quattro autrici ce ne danno uno spaccato preciso e impietoso.
Grazie alla casa editrice per la copia cartacea.