“Domani c’è ancora tempo” di Francesca Petroni (IoScrittore)

Domani c'è ancora tempo

Questo testo è difficile da iniziare. Già dalle prime parole si intuisce la drammaticità della storia, soprattutto per il punto di vista da cui è raccontata.

Da subito il punto di vista è quello del protagonista Christian, un ragazzo che ama la vita, ama la montagna, fare escursioni, arrampicarsi. Ma appena lui apre gli occhi, al mattino, dobbiamo già fare i conti con sua madre, che lo tratta ancora come un bambino, a costo della propria serenità familiare. Perché Christian è paralizzato a causa di un brutto incidente, immobile nel letto, non può parlare, né dire se prova dolore – e ne prova tanto – né spiegare cosa desidera.

Questa storia difficile mostra aspetti complessi: il dolore di una donna che deve decidere di affidare ad altri il destino del ragazzo che ha messo al mondo, la volontà di credere che c’è ancora una possibilità per quel corpo stremato ormai costretto a letto, la speranza che non muore mai, l’abnegazione di medici che portano avanti un ideale, la paura di altri medici che l’errore possa ripetersi e l’amore dei genitori per i figli che è un continuo funambolico oscillare sul precipizio della perdita.

Le risposte, però, le abbiamo dentro, questo ci dimostra Christian, e vale sempre la pena di lottare per essere se stessi.

Incipit: Una voce mi chiama e avverto un tocco sulla spalla.
Mia madre mi vuole svegliare. Non sa che, già da ore, i pensieri si rincorrono nella mia mente come onde, in un moto continuo, sempre uguale a se stesso.
«Buongiorno, che cosa è successo questa notte?» mi domanda a bassa voce.
«Ha bagnato il letto? Te l’ho detto, non sta migliorando. Ora dovremo anche iniziare a pulirlo come un neonato». Thomas irrompe nel mio campo visivo.
Lo intravedo controluce, una figura corpulenta che domina su quella di mia madre.
«Eppure ha sempre rispettato gli orari per andare in bagno, davvero, sono sicura che sia per via del trasloco, dev’essere lo stress…»
Apprezzo che mia madre lo dica come se bastasse prendermi sotto braccio e accompagnarmi verso la stanza in fondo al corridoio. La verità è che mi infila un contenitore di plastica sotto l’osso sacro alle otto di mattina e poi alle undici e mezza. Va avanti così dopo pranzo e poi ancora, con gli stessi intervalli, fino a che il sonno azzera gran parte dei miei bisogni fisici.
Sembra che il mio corpo, però, abbia appena perso quel poco controllo che aveva su se stesso.
Il tempo è una caduta che continua a prendersi pezzi di me. Cosa resterà alla fine, quando non ci sarà più niente fra lui e la mia coscienza?