“Dove non mi hai portata” – Maria Grazia Calandrone (Einaudi)

“Dove non mi hai portata” di Maria Grazia Calandrone (EInaudi 2022)

Non avevo nessuna voglia di leggere l’ennesima autobiografia e neanche la sua candidatura al Premio Strega mi aveva fatto cambiare idea. Sarei perciò rimasta lontana da “Dove non mi hai portata”, di Maria Grazia Calandrone (Einaudi 2022), se il Club del libro guidato da Maristella Lippolis nella libreria Primo Moroni di Pescara non lo avesse scelto come lettura estiva. Poi Audible lo ha caricato tra le sue proposte e alla fine ho detto ok, vediamo un po’ di che si tratta.

Ne sono rimasta incantata.

Che cos’è “Dove non mi hai portata”

Cosa ne è di quella bambina di otto mesi abbandonata su un prato di Roma in un giorno di giugno del 1965? Cosa ne è dei suoi genitori biologici? Maria Grazia Calandrone cerca di ricostruire la storia di Lucia e Giuseppe, sua madre e suo padre illegittimo, che hanno lasciato pochissime tracce, ma decisive.

Ambientato in Molise, “Dove non mi hai portata” è il tentativo di restituire tridimensionalità e giustizia alle loro vicende, frutto dei disagi socio-economici del tempo.

Punti di forza

La scrittura di Maria Grazia Calandrone è ricercata, stupefacente. A volte è cesellata come un capitello gotico, a volte misurata come un verbale giudiziario, altre tagliente come un bisturi da obitorio. La lettura di Sonia Bergamasco in Audible ne segue bene il respiro e non appesantisce mai. Il risultato è che, nonostante in alcuni punti rischi di sembrare la parodia di sé stesso, questo stile così particolare non fa altro che restituire la complessità di un argomento imperscrutabile.

“La fiatella sociale imputridisce tutto quello che tocca, spire di fiato acido escono dalle bocche e avvinghiano i denigrati del momento, se li mangiano a mozzichi e li lasciano a macerarsi nel verde atrabiliare dell’invidia di quelli che non osano.”

Tra gli aspetti più commoventi del libro c’è una presa di coscienza: l’essere stata una bambina abbandonata non per rifiuto ma per speranza, la speranza che la generosità di Roma potesse darle un futuro. Il titolo allude al fatto che i suoi genitori avrebbero potuto portarla con sé nella morte, invece hanno scelto per lei la vita.

Però, però, però…

Il libro alterna la ricostruzione del caso di cronaca che riguarda i genitori biologici dell’autrice, alla ricostruzione del loro passato e del passato delle loro famiglie. L’autrice tratteggia i fatti salienti degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta in termini di macrostoria e di microstoria. Questa operazione per me è stata interessantissima anche per lo stile asciutto con cui viene condotta. Eppure, certe volte ho avuto l’impressione che ci si soffermasse un po’ troppo sugli aspetti storici, probabilmente per necessità di riempire lacune inevitabili dovute alla scarsità di materiale. Ascoltavo affamata queste sintesi di Storia, ma allo stesso tempo mi rendevo conto che non erano tutte strettamente funzionali alla vicenda.

“(…) metterà radici in una disperazione tranquilla, in cui ama sé stesso ma disprezza la propria malasorte”

“Dove non mi hai portata” nasce comprensibilmente da un’urgenza personale, che non lascia pace. Con occhi comprensivi e pietosi di adulta, Maria Grazie Calandrone riesuma un cold case con perizia amorevole, perché questa non è soltanto una vicenda privata: come può esserlo, se è iniziata sui giornali, se una bambina è stata resa cosa pubblica, contesa da cinquanta famiglie? Questo libro sembra voler chiudere un cerchio, essere tomba su una donna circuita e ostacolata in vita, i cui resti riposano nell’ossario comune di Palata.

In “Dove non mi hai portata” ho letto un amplificatore contro i comportamenti retrogradi, contro l’ignoranza e la povertà dei sentimenti.

Cristina Mosca