“Il tempo ritrovato” di Marcel Proust (Newton)

“Il tempo ritrovato” di Marcel Proust (1927)

“Il tempo ritrovato” è il settimo e ultimo volume del romanzo “Alla ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust. Iniziato nel 1909 sotto forma di appunti, ha visto la luce nel 1927. Io l’ho ascoltato seguendo su carta l’edizione economica Newton degli anni Novanta, ma oggi è disponibile sia in edizione Mondadori sia Einaudi.

Quello che nel 1913 era un romanzo composto di tre volumi (“Dalla parte di Swann”, “I Guermantes” e “Il tempo ritrovato”), diventò di sette, ma Marcel Proust fece in tempo a vedere pubblicati solo i primi quattro (compresi “All’ombra delle fanciulle in fiore” e “Sodoma e Gomorra”): il 18 novembre 1922 morì, stroncato da una polmonite. “La prigioniera” era stato appena stampato pochi giorni prima, poi fu divulgato l’anno dopo; “Albertine scomparsa” e “Il tempo ritrovato” arrivarono nei cinque anni successivi.

Di Marcel Proust abbiamo recensito anche “L’indifferente”. Su Marcel Proust abbiamo recensito il saggio di Pietro Citati “La colomba pugnalata”.

Cos’è “Il tempo ritrovato”

La guerra è arrivata a oscurare il cielo terso dell’infanzia e della giovinezza, in cui le uniche cose che contavano erano l’amore, l’attenzione dell’altro e verso l’altro, il corteggiamento e la bellezza. Il protagonista incontra molte persone e parla con loro; si ritrova in un bordello maschile e individua una vecchia conoscenza; idem a una cena, dove ritrova nientepopodimeno che Gilberte Swann, il suo primo amore, ormai irriconoscibile.

Il Tempo chiede il conto a tutti i personaggi che ci hanno accompagnato per oltre tremila pagine, su cui abbiamo espresso giudizi o commozione, contro cui ci siamo indispettiti o che abbiamo giustificato. Comprendiamo quindi la decisione finale dell’autore: partire da quella sera in cui il bacio tanto atteso della madre non arrivava, e scrivere di tutti loro, renderli giovani e vivi per sempre.

“(…) un libro è un grande cimitero dove, sulla maggior parte delle tombe, i nomi, cancellati, non si leggono più”

Tra le poche cose certe c’è che ci ho messo più tempo io a leggere “La Recherche” che Proust a scriverla. Mi sono fatta regalare il cofanetto dell’edizione economica negli anni Novanta; all’inizio dell’università mi sono imbarcata nella lettura, naufragando miseramente a metà de “I Guermantes”; due anni fa, grazie agli audiolibri e in seguito unendomi al gruppo di lettura di giornatedilettura #proustritrovato, ho ripreso il viaggio.

Punti di forza

“Il tempo ritrovato” è un libro che si finisce di leggere col magone. Il punto di arrivo è anche il punto di partenza, e messi di fronte alla circolarità del tempo e a come il passato possa riavvolgersi e diventare l’unico futuro possibile, come già abbiamo riflettuto dopo la scomparsa di Albertine, restiamo estasiati e sgomenti insieme.

“Abbiamo bussato a tutte le porte che non portano a niente, e la sola da cui si può entrare, e che avremmo cercato invano per cento anni, la urtiamo senza saperlo, e si apre”.

Inoltre, come ho già ragionato sul mio blog a caldo, resta un senso di tristezza e di trionfo insieme se pensiamo che l’autore temeva di non fare in tempo a finire il libro e infatti è morto prima, ma è riuscito tuttavia a consegnare al suo editore tutti i quaderni. Il suo romanzo monumentale ha assolto il suo compito: uscendo postumo, ha reso immortali e giovani non solo i suoi personaggi ma l’autore stesso.

Però, però, però…

Il problema con Proust è sempre lo stesso: chi ama la narrativa di azione deve starne lontano. Da questo punto di vista, ne “Il tempo ritrovato” non succede niente di niente. Le azioni sono tutte funzionali alle riflessioni. È una sorta di testamento letterario e spirituale. Proust riflette sulla morte, sulla guerra, sulla vecchiaia e sul decadimento.

“Se, allora, il pensiero della morte mi aveva, come si è visto, offuscato l’amore, già da un pezzo il ricordo dell’amore mi aiutava a non temere la morte”.

Tuttavia, ci sono pagine bellissime che ho riempito di piegature, sulla letteratura come fonte di eternità e sulla lettura come forma di “lettura di sé stessi”.

Ascoltare questo libro e non leggerlo ha avuto lo stesso esito degli altri: ho ringraziato questa modalità, perché sul cartaceo mi sarei impantanata, immobilizzata, sarei diventata probabilmente impaziente – che è il motivo per cui avevo smesso di leggerlo, a ventidue anni.

Leggere Proust è un arricchimento, già solo se si vuole mettere alla prova le proprie capacità di attesa e di ascolto. Per tutto il resto, l’autore dà prova di una sensibilità e una capacità di analisi così profonde e senza filtri che finisce per suscitare affetto e stima nel lettore, come se ci si conoscesse di persona.

Cristina Mosca