“Furore” di John Steinbeck (Bompiani)

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“Furore” di John Steinbeck, Utet 1965

“Furore” è un romanzo del 1939 di John Steinbeck, considerato il suo capolavoro perché racconta la povertà della Grande Depressione americana degli anni Trenta. Definito anche come il più classico dei classici americani, vinse il Premio Pulitzer e contribuì all’assegnazione del Premio Nobel al suo autore nel 1962.

Il titolo originale è “The grapes of wrath”, che può essere tradotto come “I frutti dell’ira”. In Italia fu pubblicato nel 1940 da Bompiani ma fu pesantemente modificato dalla censura fascista del Ministero della cultura popolare. Solo nel 2013 ha visto la luce la prima edizione integrale, tramite Bompiani, nella nuova traduzione di Sergio Claudio Perroni basata sul testo inglese della Centennial Edition dell’opera di Steinbeck.

Quando uscì, “Furore” venne proibito e bruciato dalla biblioteca pubblica di Sant Louis in Missouri, vietato dal Board of education di Kansas City e dalla Buffalo Pulic Library. Fu bandito per un anno e mezzo dalla contea del Kern, dove è ambientato il finale, contestatissimo, definito osceno.

Io ho letto la versione del 1940 perché ho trovato il libro in biblioteca, pubblicato dalla UTET nel 1965, ma sicuramente acquisterò quella nuova perché me ne sono innamorata.

Cos’è “Furore”

Il furore del titolo è quello alimentato dalla povertà. Seguiamo le vicende della famiglia Joad, rappresentative di quanto accaduto in America in seguito alla Grande Depressione. Ai piccoli coltivatori vengono sottratti i terreni e in migliaia devono migrare in California, dove si dice che il lavoro si trovi a bizzeffe, e dove in realtà regna la competizione senza scrupoli. L’unica padrona delle persone è la miseria, è a lei che loro obbediscono, solo a lei.

“Ora gli emigranti sono trasformati in nomadi. (…) Il moto li trasforma totalmente; la strada li trasforma, e la vita nella tenda, e la paura della fame, e la fame stessa. E li trasformano i bambini senza cibo, e gli interminabili spostamenti. Ormai sono solo dei nomadi. E li trasforma l’ostilità che incontrano dappertutto, e che li cementa, li salda insieme”

E allora come si fa se si è una famiglia di sette persone e un cane, e ci sono due anziani, una ragazza incinta e due bambini? E se i prezzi del cibo vanno alle stelle e allo stesso tempo il salario per la manovalanza nei campi precipita sempre più in basso? Se al posto di una casa si vive in un autocarro, che costituisce l’unica speranza di sopravvivenza, l’unico modo per provare a cercare lavoro, come si fa?

Punti di forza

“Furore” è un libro da cui ci si trova avvolti sin da subito. Il primo capitolo racconta di una tempesta di sabbia e di polvere, e a te sembra di stare lì e mangiartela, quella polvere. Ho passato un giorno intero a riflettere sul primo capitolo: è subito chiaro di essere davanti a qualcosa di grande.

“Furore” è la disperazione, la spietatezza del progresso. La vecchia storia inarrestabile dei pesci grandi che lasciano morire i pesci piccoli, divorandoli o semplicemente lasciandoli indietro.

Ho trovato meravigliosa la figura della madre, fortissima, che si aggrappa al mito della famiglia e cerca di mantenerla insieme a tutti i costi, cedendo solo quando disperdersi è inequivocabilmente l’unica cosa da fare.

“La mamma s’era fatta, non grassa, ma pesante, materiale. (…) Gli occhi marroni sembravano aver sperimentato tutte le tragedie, scalando a grado a grado il dolore fino alla vetta, per spaziare nelle superne sfere d’una comprensione e d’una tranquillità sovrumane. (…) era la cittadella della famiglia, la roccaforte inespugnabile”

Il capitolo in cui il figlio la osserva di nascosto, mentre lei è ancora convinta di non vederlo mai più, è commovente. La lunga scena in cui viene descritta una tartaruga di terra è praticamente perfetta. E il finale! Un che di selvaggio, provocatorio, e insieme la vita che esplode, che cerca la sua strada.

Quando ho finito “Furore” ne ero praticamente sopraffatta. Stra-consigliato!

Cristina Mosca