Gli alberi già lo sanno – Valeria Babini (La Tartaruga)

Gli alberi già lo sanno – Valeria Babini – La Tartaruga

Un libro delicato, è questa la prima definizione che mi viene per Gli alberi già lo sanno. Delicata la copertina e delicatissimo il testo.

E, mentre scrivo, sento un’infinita tenerezza e gratitudine per questo libro. È innegabile che a volte i libri si leghino e si avvitino alle vicende personali, di quel preciso periodo, dei giorni della lettura. E in questo caso, mentre Vera, la protagonista, va alla ricerca del passato, cerca di ricostruire avvenimenti che non conosce, nella vita della madre, io facevo un’operazione simile e contraria nella mia vita.

Vera è vedova da poco, un’assenza ingombrante e dolorosa, dopo una vita insieme, a condividere tutto.

Ho capito, gli dice, sì, ho accettato con la velocità del cuore che tu non abbia voluto soffrire inutilmente, e ti ho seguito e assecondato in questo tuo desiderio di fine dignità. Neppure per un attimo ho pensato a quanto perdevo lasciandoti andare un po’ più naturalmente verso una fine annunciata. Ho capito, ho accettato, ma adesso la solitudine è immensa.

L’aspetto più doloroso è non potersi confrontare con Mario, il marito, presenza solida e rassicurante. La sua assenza è insopportabile, ed ecco allora che Vera viaggia nel passato e lo fa a modo suo.

Ha capito che il disorientamento che acuisce la sofferenza per la perdita di Mario è anche dovuta al fatto di trovarsi ad affrontarla senza di lui. È un paradosso ma è così: non può parlare con Mario dell’immenso dolore della sua morte, non può piangere per lui insieme a lui.

Non ripercorre gli eventi sulla base del sentimento. Cioè, sì, fa anche quello, ma per ricordare attinge alle foto di tante vite raccolte in una scatola di latta. In quella scatola non c’è solo il suo passato, c’è soprattutto quello di sua madre, un passato che lei si accorge di non conoscere veramente.

Il libro di Valeria Babini è un libro sulla memoria. La nostra memoria, la memoria familiare, ciò che ci è stato trasmesso in maniera indiretta, spesso con i non detti. Ma anche la memoria di una nazione e di una vergogna, quella del fascismo.

I ricordi che abbiamo, lo sappiamo, spesso non corrispondono alla realtà, e se una persona ha una fervida immaginazione rischia di confondere realtà e fantasia o, come in questo caso, fare propri ricordi altrui, come se fosse stata lì presente.

Vera ha imparato a non fidarsi troppo del confine tra memoria e realtà. E tanto più la sua memoria è precisa, tanto più ne diffida, perché sa che è l’emozione ad averle scolpito quel ricordo.

Il viaggio di Vera non è solo un viaggio nella memoria e nei ricordi, è anche un viaggio nel proprio dolore. Un dolore che lascia senza fiato, un buco nel petto, impossibile da arginare o lenire, nemmeno di notte. Continua a chiedere al suo Mario di farle visita in sogno, ma lui, ostinato, non si manifesta. E la sua assenza diventa sempre più qualcosa di palpabile, che ti si appiccica addosso, ne puoi sentire odore e consistenza. È come se passasse tutte le giornate avvolta in una nebbia spessa, e gli unici momenti a fuoco sono proprio quelli in cui ricorda.

Come ho detto Gli alberi già lo sanno è un libro delicato. Avrei potuto leggerlo in un paio di giorni o meno, perché è scorrevole e piacevolissimo, ma ogni tot pagine lo mettevo giù, perché volevo restare con quella sensazione di nostalgia, di mancanza, ma ma al tempo stesso che tutto è possibile. Una sensazione, nonostante tutto, di compiutezza, di rappacificazione con l’universo. La sensazione che, anche nel dolore, le cose vanno esattamente come devono andare.

Ringrazio tantissimo la casa editrice per la copia cartacea.