“Il sentiero dei nidi di ragno” di Italo Calvino (Mondadori)

“Il sentiero dei nidi di ragno”. edizione Garzanti 1987

Vi racconto la mia storia con “Il sentiero dei nidi di ragno”, il primo libro di Italo Calvino, pubblicato nel 1947 grazie a Cesare Pavese, che al tempo era direttore editoriale Einaudi a Roma.

Le storie partigiane raramente mi coinvolgono, non so bene perché. Non avrei mai preso in considerazione questo romanzo se non fosse stato per la challenge di lettura virtuale organizzata dalla Biblioteca di San Valentino, che nel 2022 ha inserito tra i suoi task una storia di Resistenza. È un libro breve, è su Audible, per cui l’ho ascoltato. Strappiamoci questo cerotto, via, mi sono detta.

“Forse un giorno si arriverà ad essere tutti sereni, e non capiremo più tante cose perché capiremo tutto”.

Mi sono ritrovata a mettere segnalibri ogni cinque minuti. A metà lettura mi è stato chiaro che mi era necessario possederlo in formato cartaceo. Ne ho proposto la lettura al gdl EquiLibro per il mese di aprile – in tema con la festa della Liberazione – e l’ho comprato. Ho rintracciato una copia Garzanti 1987, usata, su Il libraccio, ma Mondadori ne ha pubblicato più versioni, recenti, anche alla fine del 2022. Tutte contengono la prefazione che Italo Calvino scrisse vent’anni dopo il suo esordio letterario, e che ho tempestato di piegature.

Cos’è “Il sentiero dei nidi di ragno”

“Forse, in fondo, il primo libro è il solo che conta, forse bisognerebbe scrivere quello e basta, il grande strappo lo dài solo in quel momento, l’occasione di esprimerti si presenta solo una volta, il nodo che porti dentro o lo sciogli quella volta o mai più”

Calvino commenta sé stesso con parole quasi nostalgiche, amare, guardando indietro a questa sua prima produzione così acerba e piena di rimorso. Rimorso, sì, perché “straziavo le persone come sempre fa chi scrive, per cui la realtà diventa creta, strumento, e sa che solo così può scrivere, eppure ne prova rimorso”.

“Il sentiero dei nidi di ragno” parte dall’esperienza partigiana dell’autore, ai tempi appena ventenne, e la trasmuta attraverso gli occhi del piccolo Pin. Il protagonista cerca l’approvazione degli adulti come una bestiolina e allo stesso tempo li odia. Li intrattiene e usa il loro gergo, prova a imitarli, a capirli, invano.

Si ritrova in un distaccamento partigiano e assiste a un’operazione ai margini. Intorno a lui si muove un’umanità esausta e disincantata.

Punti di forza

“Ci pareva, allora, a pochi mesi dalla Liberazione, che tutti parlassero della Resistenza in modo sbagliato, che una retorica che s’andava creando ne nascondesse la vera essenza, il suo carattere primario”

Nella sua riflessione a posteriori, dopo aver citato Elio Vittorini e Ernest Hemingway, Italo Calvino prepara le basi per la scena clou del libro. È questa scena che mi ha convinto a comprarla. È una scena che riflette la necessità bilancina (sì, Italo Calvino era della Bilancia come me e me ne vanto) di guardare sempre l’altra faccia della medaglia, di considerare tutte le sfaccettature, cambiare continuamente punto di vista.

È una scena in cui i partigiani si confidano e scoprono che tra loro e i fascisti, in fondo, non passa molta differenza.

“Perché c’è qualcos’altro, comune a tutti, un furore. (…) Gente che s’accomoda nelle piaghe della società e s’arrangia in mezzo alle storture, che non ha niente da difendere e niente da cambiare. (…) Perché combattono, allora? Non hanno nessuna patria, né vera né inventata. Eppure tu sai che c’è coraggio, che c’è furore anche in loro. È l’offesa della loro vita, il buio della loro strada, il sudicio della loro casa, le parole oscene imparate fin da bambini, la fatica di dover essere cattivi.”

Il racconto è di una semplicità disarmante e si concentra sulle parole dei personaggi, sulle loro riflessioni e le loro motivazioni. La percezione di Pin spoglia le vicende di tutti i retroscena, perfino del significato delle parole. Cosa sono i GAP? Figuratevi che io all’inizio, ignorante come Pin, lo leggevo con la pronuncia inglese e infatti non capivo. Poi io ho scoperto che sono i Gruppi di Azione Patriottica; lui invece non lo ha mai saputo.

“Pin, il codice penale è sbagliato. C’è scritto tutto quello che uno non può fare nella vita: furto, omicidio, ricettazione, appropriazione indebita, ma non c’è scritto cosa uno può fare, invece di fare tutte quelle cose, quando si trova in certe condizioni.”

Seppur visti dagli occhi di un bambino i fatti non vengono proposti edulcorati, anzi in tutta la sua crudezza. Pin possiede sia malizia e sia un bestiale istinto di sopravvivenza, ma gli mancano molti strumenti interpretativi della realtà che invece il lettore ha. E per questo il finale è terribile, spietato.

Da leggere assolutamente.

Cristina Mosca