“Il treno dei bambini” (Einaudi, Stile libero Big) è detto caso editoriale italiano alla Fiera di Francoforte del 2019 e pare sia in corso di traduzione in venticinque lingue. Scritto da Viola Ardone, docente di latino e italiano al liceo classe 1974, racconta in forma romanzata di un’iniziativa del Partito Comunista italiano del secondo dopoguerra. Moltissimi bambini del Sud furono accolti, anzi adottati, per un anno scolastico da famiglie benestanti del Nord.
Cos’è “Il treno dei bambini”
Il libro inizia a Napoli nel 1946 e la vicenda viene proposta tramite gli occhi di Amerigo, un napoletano di sette anni. Un nome, un simbolo: viene mandato da mamma Antonietta nel nuovo mondo. A casa loro la fatica per la sopravvivenza è troppa e nell’“Alta Italia” c’è chi si è offerto di occuparsi delle nuove generazioni.
Amerigo viene messo così sul “treno dei bambini”, un treno carico di minorenni che vengono adottati temporaneamente. Lui capita a casa di Derna e passa molto tempo con la famiglia di Rosa, che ha tre figli (Rivo, Luzio e Nario).
Piano piano si ambienta, si integra e impara a suonare il violino, ma è con il suo ritorno, che le differenze maggiori vengono a galla.
Amerigo scopre che i contatti tra le famiglie ospitanti e i loro ospiti sono mantenuti, tranne che nel suo caso. Sua madre Antonietta, a suo modo, lo sta difendendo da una realtà per loro impossibile da eguagliare, anzi probabilmente da dimenticare. Ferito, si rimette clandestinamente su un treno e torna in Alta Italia.
Dopo decenni sarà chiaro che il bene ricevuto ha avuto il forte retrogusto amaro della perdita di una parte di sé. Grazie alla “so-li-da-rie-tà” Amerigo è diventato un violinista affermato: ma a che prezzo?
Punti di forza
Il libro procede in maniera molto scorrevole, grazie all’utilizzo dell’io narrante, di un italiano napoletaneggiante e al registro semplice e a volte buffo del protagonista bambino. La cura linguistica dell’autrice è ancora più chiara quando subentra il protagonista da adulto.
“Il treno dei bambini” ha sicuramente il grandissimo merito di rendere nota una iniziativa poco ricordata, ma ne mette anche in luce tutti i risvolti. Mostra con onestà tutti i possibili effetti nella vita di quei bambini: c’è chi è rimasto al Nord, chi è tornato subito al Sud, chi ha trovato il giusto equilibrio fra la famiglia nuova e quella vecchia e grazie a questi rapporti ha potuto studiare e diventare un magistrato.
Però, però, però…
Tra queste storie ha ricevuto spazio una ambigua e irrisolvibile, disorientante. Quasi a voler dire: la collettività intende cercare il bene a ogni costo, ma il bene per chi?
“Tiene ragione Tommasino. Ormai siamo spezzati in due metà”
La figura della madre Antonietta divide i lettori: c’è chi prova avversione e chi la abbraccerebbe, perché riconosce il segno dei tempi in una generazione ritrosa e semplice nell’espressione dei sentimenti.
“Ma adesso che la distanza è incolmabile e so che non ti incontrerò più, mi viene il dubbio che sia stato tutto un equivoco, tra me e te. Un amore fatto di malintesi”
Ho letto questo libro perché è stato scelto da due gruppi di lettura di Pescara a distanza di alcuni mesi: il Gdl “Sulla traccia di Angela” della biblioteca “Di Giampaolo” per dicembre 2019 e il Gdl EquiLibro per luglio 2020.
Cristina Mosca