“La figlia unica” di Guadalupe Nettel (La nuova frontiera)

“La figlia unica” di Guadalupe Nettel (La nuova Frontiera 2022)

“La figlia unica” (La nuova frontiera 2022) è un romanzo di Guadalupe Nettel in cui mi sono imbattuta perché è stato scelto dal gruppo di lettura “Sulla traccia di Angela” di Pescara per il mese di settembre. Affronta temi femminili in maniera piuttosto inconsueta.

Cos’è “La figlia unica”

Le protagoniste sono due amiche, Laura e Alina. Superati i trent’anni, una decide di non avere figli, l’altra li vuole così tanto da sottoporsi a tantissime cure e terapie. Ma qualcosa va storto. Anzi: qualcosa che sembrava stortissimo, va solo storto, e di conseguenza paradossalmente fa sprofondare la vita di Alina in una condizione peggiore di quella prevista all’inizio.

La figlia nasce con una disabilità molto grave: la lissencefalia.

“Abbiamo i figli che abbiamo”.

Il romanzo scorre su tre binari a tema comune. Principalmente si tratta dell’antica diatriba se basti generare un figlio per sentirsene genitore, ma attraverso le tre storie parallele si riflette anche se, al contrario, non ci si possa sentire madri anche senza aver partorito.

Punti di debolezza

L’inizio de “La figlia unica” non è incoraggiante. Incontriamo una serie di cliché e di stereotipi sulla maternità che generalizzano parecchio e soprattutto rappresentano i consueti punti di vista di chi dalla maternità è fuori.

Tutti ci facciamo il quadro di una situazione che non conosciamo secondo le nostre paure e secondo le nostre abitudini. Spesso riusciamo a immaginare solo come sacrifici la rinuncia a quelle abitudini, invece di vederle come semplice capovolgimento delle priorità, come quando diamo precedenza alla fame o alla sete.

Però, però, però…

Mentre ascoltavo questa sfilata di luoghi comuni, ho continuato perché ho voluto confidare nel fatto che l’autrice andasse a parare altrove.

Per fortuna così è stato.

“È stranissimo, non trovi? Perché qualcuno che non lo ha mai fatto, dovrebbe avere voglia di vivere?”

L’utilizzo di un testimone esterno per la storia tragica di Alina e Aurelio ha arginato di molto l’invasione di pietà e angoscia che gravitano intorno a questa storia. Sono stata grata per questo espediente narrativo.

Le donne che si muovono in questo romanzo, alternativamente rifiutano e si immergono nella maternità seguendo i loro istinti e i loro traumi.

“Grazie a tutto ciò poteva trasmettere alla bambina un amore tranquillo e disinteressato: l’amore lieve e insieme intenso di chi non è costretto a rimanere”

Ho ascoltato affamata la seconda parte del romanzo, perché avevo bisogno di sapere come andasse a finire: dovevo dare un posto a tanto dolore, a una situazione così precaria. Mi sentivo in diritto di aspirare a un lieto fine, pur sapendo che i presupposti non c’erano.

“Chi non si è tuffato in un amore abissale pur sapendo che non avrebbe avuto futuro, aggrappato a una speranza fragile come un filo d’erba?”

Non vi dirò se le mie aspettative di un lieto fine siano state soddisfatte. Consiglio però “La figlia unica” sia a tutti quelli che covano un desiderio d’amore incondizionato, sia a chi crede di non essere capace di offrirne.

Cristina Mosca