“Le avventure di Pinocchio” di Carlo Collodi

“Le avventure di Pinocchio” di Carlo Collodi, 1883 (ed Mondadori 2001)

“Le avventure di Pinocchio” è un romanzo che oggi chiameremmo fantasy per ragazzi, uscito a puntate per la prima metà fra il 1881 e il 1882 e pubblicato nel 1883 in volume. Io ho letto un’edizione Mondadori del 2001 illustrata da Nicoletta Ceccoli, che propone il testo del 1883, “l’unico testo sicuramente rivisto da Carlo Collodi”, ammodernando solamente la grafia per esempio trasformando le j in i.

Trama de “Le avventure di Pinocchio”

Tutto comincia quando Mastro ciliegia dà a mastro Geppetto un ceppo di legno e lui decide di farne un burattino. Succede che questo burattino si mette a parlare e a muoversi di vita propria. Provoca subito guai: a causa sua, mastro Geppetto finisce in prigione per mesi, e poi in fondo al mare.

Rimasto allo sbando, Pinocchio si accompagna spesso alle persone sbagliate, viene da loro imbrogliato, ma piano piano, anche grazie alla mano buona della Fata dai capelli turchini, inizia ad ascoltare la voce della sua coscienza e a maturare.

Il suo obiettivo è diventare un bambino vero… Chissà se ci riuscirà…….?

Punti di forza

Lo dico dal punto di vista dell’adulto: che forza, questo Pinocchio! Che semplicità e che verità nell’accorgersi dei suoi errori! Mi è piaciuto molto come vengono trattati temi come l’obbedienza ai genitori e la necessità di essere assertivi per non farsi sviare dalle cattive compagnie. Sarà una posizione di comodo, ma l’ho adorato! Ho trovato perfino utile quando, ogni tanto, Pinocchio riassume le sue avventure precedenti: sicuramente un’esigenza narrativa, visto che inizialmente il libro è uscito a puntate, ma ne beneficia anche la memoria di un bambino.

Collodi inoltre non si perde in descrizioni inutili, è sempre molto scattante. Ha uno stile molto colloquiale e mi è piaciuto vederlo indugiare nel toscanaccio: mi sono divertita a leggerlo ad alta voce e ad aspirare le “c” di tutte le battute di Pinocchio.

Mi è impossibile giudicare negativamente dal punto di vista tecnico i piccoli episodi che sembrano buttati lì, come l’incontro con il serpente che si mette a ridere fino a quando non scoppia, perché ormai fanno parte di un immaginario collettivo intoccabile, anche se non sono stati resi immortali dalle versioni cinematografiche più famose.

Però, però, però…

Certo, il linguaggio del “Pinocchio” originale è ottocentesco e diverse espressioni sono caduti in disuso. Leggendolo a mio figlio di sette anni, mi è venuto ogni tanto da togliere qualche ostacolo, come sostituire “mise” a “messe” (il passato remoto di mettere) o qualche desinenza un po’ strana. Nello stesso tempo mi figuravo la sua percezione se lo avesse letto da solo. Penso che a questa età sia più comprensibile da ascoltare, perché si può esercitare meglio la comprensione globale e può essere l’adulto a modulare la velocità in passaggi più ostici ma poco funzionali.

A seconda delle sensibilità, c’è inoltre da superare un piccolo ostacolo, che è quell’abitudine tutta ottocentesca di riassumere il contenuto del capitolo nel titolo, anche anticipando momenti di climax emotivamente importanti. Io preferivo lasciare a mio figlio il gusto della scoperta e quindi a metà libro ho smesso di leggere le anticipazioni.

Peccato per la fine un po’ frettolosa.

Tuttavia, per la maggior parte del tempo questo bel romanzo è stato perfettamente comprensibile, anche grazie alla sua struttura divisa in episodi, abbastanza brevi. “Pinocchio” è da leggere: considerate che non ha neanche quel pathos stucchevole e sorpassato del suo coevo “Cuore” (1886). Ne sarete deliziati.

Cristina Mosca