“L’infinito di amare” S. C. Perroni (La nave di Teseo)

“L’infinito di amare, due vite una notte” di Sergio Claudio Perroni, edito da La nave di Teseo nella collana Le onde è un romanzo breve di 120 pagine o poco più, scritto in maniera divina e con una lingua dalla sapienza magistrale in cui la scelta attenta delle parole è finalizzata alla ricerca della bellezza.

Si tratta della storia di lei e lui, un uomo e una donna che si incontrano, si riconoscono e poi si svegliano al mattino uno vicino all’altro e tutto nel loro fare e nel loro muoversi è un insieme di gesti che rende perfettamente l’idea dell’amore attraverso ogni singolo movimento.

Ogni piega della pelle rappresenta il sentimento, attraverso lo sguardo dell’altro.

L’incipit folgorante poi, ci restituisce la bellezza di due amanti che si sciolgono, l’una nell’altro con profondissima intimità.

In quest’opera, pubblicata postuma, c’è tutto: la passione, la malinconia, la nostalgia, per quello che è stato e la paura per quello che sarà.

Sembra, infatti, che ciascuno di loro sappia che ogni incontro è destinato naturalmente a finire e non vi è la certezza che il prossimo sarà bello come gli attimi appena trascorsi.

Più che la storia, qui, più che il tempo, è importante l’essenza del momento assoluto, costruito e già dissolto, unico e irripetibile e nel momento in cui avviene già ferisce e abbandona.

Non è già esiste più e diviene mancanza, assenza un po’ come in un sogno quando ci risvegliamo al mattino e sentiamo di aver perso per sempre quell’idea che la nostra mente aveva plasmato nel momento del riposo.

Ferroni con “L’infinito di amare” sembra affidarci una testimonianza che in fondo ci unisce tutti perché quello che gli amanti vivono al risveglio è la paura della perdita che tutti abbiamo provato una volta almeno. Allo stesso modo vorremmo fermare quell’attimo così perfetto proprio mentre avviene benchè già sappiamo che questo non sarà mai possibile.

Come se questi due amanti umanizzassero l’amore rappresentandolo su un palcoscenico.

Che poi è la vita la più sublime essenza dell’amore, unica per ciascuno eppure la stessa per tutti.

Estratto:

La vede dopo molti anni, qualcosa come dieci, qualcosa come ieri l’altro.

La scena si svolge in un aeroporto, si svolge in un bosco, la scena si svolge in una segheria, in un atrio d’albergo, in un tram.

Lei è in piedi, lei è seduta, lei è in piedi ma di profilo, è di profilo ma l’altro – di spalle non è. Lui la vede più bella di allora, di ieri, che mai. La trova ringiovanita, la trova invecchiata, la trova di un’età inverosimile. La trova e tanto basta.

La guarda e vorrebbe parlarle, vorrebbe chiederle perché, come mai, che motivo c’era. La guarda e vorrebbe solo chiederle com’è stata senza di lui, chiederle com’è stato senza lui.

Le guarda accanto e vede una bambina che la tiene per mano o una valigia con sopra un giornale o solo l’ombra sterminata delle sue gambe, accanto e vede l’ombra sterminata delle sue gambe adesso sfiorata dalla propria. Non credeva di esserle così vicino.

Richiamata da quell’aggiungersi di ombra, lei alza gli occhi e lo vede, richiamata dalla bambina (mamma, perché quel signore ti fissa?) lei alza gli occhi e lo vede, dallo scivolare del giornale alza gli occhi e lo vede, dall’istinto alza gli occhi e lo vede.

Fa finta di non conoscerlo, fa finta di non riconoscerlo, non lo riconosce davvero perché è molto cambiato, non lo riconosce perché così uguale ad allora non può essere davvero lui.

Aveva desiderato non vederlo più, non vederlo mai più, vederlo almeno una volta per dirgli mai più.

Adesso che lo rivede per caso in quell’aeroporto, in quel bosco, in quel tram, è come se non avesse mai smesso di vederlo, adesso che lo rivede per caso è come se dovesse imparare di nuovo a vederlo anche se solo per pochi istanti, adesso che lo rivede per caso ha paura che sia solo per pochi istanti.

Lei crede al caso, lei non crede al caso ma ha paura di crederci adesso; lui non crede al caso, lui non ha mai smesso di sperare che almeno il caso li riportasse vicini.

Le due ombre si sono staccate perché lei ha fatto un passo indietro, si sono fuse perché lui ha fatto un passo avanti, le due ombre si sbocconcellano perché le luci del bosco del tram della segheria non stanno mai ferme, le due ombre si sbocconcellano perché i corpi da cui dipendono non hanno le idee chiare.

Lui vorrebbe sorriderle, vorrebbe toccarla, vorrebbe baciarla come se non fosse successo niente, lui vorrebbe baciarla per costringere tutto a non essere successo.

Lei vorrebbe toccarsi i capelli per distrarsi dalla voglia assurda di baciarlo, lei non si tocca i capelli perché ha paura che lui ricordi il vero significato di quel gesto, lei ricorda il significato di qualsiasi gesto di lui, lei si tocca i capelli.

La bambina chiede qualcosa (mamma, perché fissi quel signore?) ma lei non la sente, la bambina non chiede niente perché non c’è nessuna bambina, la valigia non chiede niente perché non c’è nessuna valigia e comunque le valigie non parlano, l’ombra è finita sotto quella di lui e anche se potesse chiedere qualcosa non si sentirebbe, allora è lei a chiedere qualcosa, è lui a chiedere qualcosa, qualcosa che entrambi non sentono nel frastuono della segheria, nel silenzio del bosco, qualcosa che entrambi capiscono solo dalla reazione dell’altro.

Che è comunque: “Sì, se vuoi.”

Biografia:

Sergio Claudio Perroni ha tradotto, scritto, curato libri. Ha pubblicato Non muore nessuno (2007), Raccapriccio. Mostri e scelleratezze della stampa italiana (2007), Leonilde. Storia eccezionale di una donna normale (2010), Nel ventre (2013), Renuntio vobis (2015), Il principio della carezza (2016), Entro a volte nel tuo sonno (2018), La bambina che somigliava alle cose scomparse (2019).