Metodi per sopravvivere – Gudrún Eva Mínervudóttir (Iperborea)

Metodi per sopravvivere – Gudrún Eva Mínervudóttir – Iperborea – traduzione di Silvia Cosimini

Questo libro mi ha tenuto compagnia durante un viaggio e non so più dire se sia stato il viaggio a essere bello in sé o se sia stato il libro a trasformarlo in magia.

Aron Snær è un bambino sfortunato: un madre depressa, un padre disinteressato e insensibile alle sue più banali necessità.

A 11 anni non è mai andato in bicicletta e alcuni del paese lo considerano strano.

… provavo tutta la tenerezza e la compassione di cui ero capace. Era come una barca in avaria in mare aperto. Piena di gente. Alcuni probabilmente erano terroristi. Che si fa con le persone che sono in pericolo? Si dà una mano, un aiuto. Qualsiasi altra cosa sarebbe grettezza morale, anche se tra tante pecore c’è sempre quella nera. È sempre così, comunque, e se questo dà scacco al senso di umanità, allora non mi importa più nulla. Temevo che avrebbero lasciato affogare Aron Snær ed ebbi un moto di ribellione al solo pensiero. Non finché ci sono io di guardia, pensai.

Ho trovato questo libro ricco di poesia. Il modo di raccontare tutto, l’atmosfera, la delicatezza, la scelta delle parole (ne approfitto per fare i complimenti alla traduttrice, Silvia Cosimini)

Una ragazza anoressica, che cerca di uscire dal suo guscio e di crescere a modo suo, che cerca di lasciarsi il passato alle spalle e ricominciare in un nuovo paese con persone che non conosce.

Un uomo innamorato e non ricambiato, a casa per problemi di salute e un cucciolo di cane iperattivo.

Una donna vedova, che cerca anche lei di ricostruirsi una vita, ma non è facile quando ti senti come un sacco pieno di schegge di vetro. Non sento il bisogno di piangere o lagnarmi, ma mi fa male ogni parola, ogni passo.

E poi c’è lui, Aron, che è il punto di incontro di queste vite che si svolgono a pochi metri l’una dall’altra.

Lui che a 11 anni deve crescere, da solo. Affidato a una donna che non conosce, ma che pare l’unica che lo comprenda per quello che è. E altri due sconosciuto, che lo accettano per quello che è, ognuno, forse, rivede una parte di sé. Tutti sentono di doverlo proteggere e sostenere.

Perché è questo che si fa con le persone che avvertiamo fragili, sul punto i rottura. Le sosteniamo.

Restiamo lì a disposizione, per evitare che un tocco troppo forte le infranga, e pronti a intervenire. Li proteggiamo dall’esterno, che ha già fatto loro abbastanza male e diamo loro il tempo di curarsi le ferite, di ricomporsi.

E Aron sembra ignaro di quanto avviene intorno a lui, delle emozioni che suscita:

sul volto di Aron vidi di nuovo quel sorriso solare che mi fece pensare che in qualche modo alla fine per lui sarebbe andato tutto bene.

Come ho già scritto è un libro ricco di poesia. Le fragilità umane, i momenti di difficoltà, gli “sfigati” siamo tutti noi, sono emozioni che proviamo tutti, sono periodi che attraversiamo, in una forma o nell’altra. Non è necessario avere una madre in fin di vita e un padre che non c’è per sentire quel dolore, quella solitudine, non è necessario essere stati su una barca in mezzo al mare per sapere che le persone vanno salvate e non lasciate affogare. Non è necessario. Leggi di Aron, Hanna, Árni e Borghildur e senti di conoscerli, anche se non vorresti. Perché nessuno di noi vuole stare male, ma a tutti, prima o poi, capita di soffrire. Tanto. E non sempre dipende da noi.