“Naccheras” di Ilenia Zedda, DeA Planeta

Naccheras di Ilenia Zedda, pubblicato da DeA Planeta è un romanzo ambientato in Sardegna, nella bellissima e suggestiva Cala dei Mori dagli arcaici profumi.

Racconta la storia di Caterina, che ha 13 anni, e Francesco che è segretamente innamorato di lei.

Francesco vive nel paese della miniera, fra rocce e Carbone, mentre nel destino di Caterina è il Bisso e la sua lavorazione, la seta color oro che la nonna su Maisto le insegna a pescare perché ne è maestra anche se per molti in paesi è soltanto una strega.

Con una prosa poetica e insieme tagliente, Zedda ci introduce tra le pieghe di una regione misteriosa, ancestrale, fatta di miti tradizioni e leggende e antiche superstizioni fasi lunari e stagioni, e i sentimenti di due adolescenti alle prese con il primo amore.

In questa terra così aspra, e difficile talvolta da comprendere, i due ragazzi sono come due facce della stessa medaglia: Caterina rappresenta il mare, fluida e libera, mentre Francesco è la terra, la miniera, il carbone, le viscere e il fuoco.

A far da sfondo, i personaggi che colorano il paese con i loro pettegolezzi curiosi e invadenti. Crudeli, talvolta, nell’etichettare il diverso, l’alieno.

Per questo naccheras è un romanzo di profonda crescita e di formazione, ma anche di radici e misticismo.

Estratto:

La notte precedente non era riuscito a chiudere occhio. Aveva pensato tutto il tempo a Caterina, lo sguardo fisso sul muro della sua camera. Nella vertiginosa lucidità dell’insonnia gli era parso evidente che, da quando era finita la scuola, i capelli le si fossero allungati di almeno cinque centimetri. Si ricordò una cosa che gli aveva detto Tziu Antiogu: «Dopo le lune di maggio, i capelli crescono il doppio. Come la barba. L’estate è la stagione giusta per farsela bella folta». E così Francesco aveva iniziato a radersi il pelo di una barba ancora inesistente.

Seduto sull’ultimo scoglio del promontorio, adesso, come nelle ultime trentaquattro sere, aspettava che Caterina arrivasse. Il mare era piatto, come l’aria. Alla Cala dei Mori non soffiava mai il vento, lo scirocco e il grecale sembravano dimenticarsi di lei. Solo il maestrale, di tanto in tanto, forzava le barriere della conca e martoriava gli scogli e la cala intera, andando e venendo come in una spirale. Entrava prepotente e tutti sapevano che sarebbe rimasto lì e in paese per tre giorni, come d’abitudine, poi sarebbe scomparso di colpo.

Solo Caterina faceva il bagno in quell’acqua, e lo faceva al calar del sole, nel momento in cui l’arsura si trasformava in un filo di brezza. La sua era una danza di solitudine.