Tutto chiede salvezza – Daniele Mencarelli (Mondadori)

Daniele si risveglia in ospedale. Un ospedale psichiatrico.

Gli hanno fatto un TSO di una settimana.

Siamo nell’estate del 1994, pochi giorni prima dell’inizio dei Mondiali di calcio. Il caldo è soffocante, ovviamente non c’è aria condizionata.

Daniele lo dice subito che è buono, non avrebbe voluto fare quello che ha fatto. Ha quasi ucciso suo padre e di questo non chiederà mai abbastanza scusa, non si perdonerà mai.

Daniele è davvero un bravo ragazzo, il suo problema è che è troppo sensibile.

Da quando sono nato non ho fatto altro che portare disordine, un’esagerazione dietro l’altra, tutto un impulso da seguire, nel bene come nel male. Non so vivere in un altro modo, non riesco a sfuggire a questa ferocia: se c’è una vetta la devo raggiungere, se c’è un abisso lo devo toccare.

Daniele vede la fragilità della vita umana e non può non soffrirne. Sta male a pensare alle persone che muoiono all’improvviso. Si interroga, vorrebbe proteggere se stesso, sua madre e suo padre dalla sofferenza, dalla morte, ma come fare? Questa eccessiva sensibilità è il suo problema. Depressione, alcuni la chiamano così.

Ma non so’ riuscito a smette de pensa’ a quel ragazzo, m’è montata una robbia, possibile che nessuno s’accorge che semo come ‘na piuma? Basta ‘no sputo de vento pe’ portacce via. Possibile cresce un figlio, levasse er pane de bocca pe’ fallo studia’ e ritrovarselo come un bambino de quattr’anni, perché? A che cazzo serve tutto?

Il libro è suddiviso in sette capitoli, uno per ogni giorno di ricovero coatto.

E noi abbiamo il tempo di conoscere tutti, dall’interno.

“Da vicino nessuno è normale” e da vicino, verrebbe da dire, nessuno è strano. Perché succede questo: quando li conosci, quando diventi loro amico, costretto a condividere gli spazi e il tempo, non ti sembrano fuori di testa. Al più un po’ particolari. Ma Gianluca, per esempio, una donna in un corpo di uomo, con un calvizie incipiente che cerca malamente di nascondere con un riporto cotonato, è più inquietante per i capelli, che non per il suo modo di fare, le sue urla o il suo bipolarismo.

E Mario? Sembra saggio e sai che quello che ha fatto è uno dei crimini più orrendi, ma quando ci parli passa in secondo piano. Daniele si sente tradito da lui, ma poi, quando gli racconta la sua versione, capisce che è più complesso di quello che può sembrare a prima vista. Ed è proprio questo il punto: cataloghiamo, etichettiamo per un atteggiamento, un’azione, e perdiamo di vista la persona nel suo complesso.

Questo non vuol dire giustificare azioni, ma vedere la persona nel suo insieme.

Come Giorgio, un ragazzone con una forza immensa, volta a nascondere il bambino che non è riuscito a salutare sua madre un’ultima volta, a vederla per l’ultima volta. Un solo sguardo gli sarebbe bastato, e invece è costretto a ripetere e rivivere il momento.

Il lettore diventa amico di tutti loro. Vede i medici che inseguono una diagnosi, a cui corrispondono medicinali che possono far stare meglio per un po’ i malati, ma che si disinteressano della persona. Del resto è un meccanismo di difesa: loro, i matti, devono essere diversi da noi, i sani. Se così non fosse, se non ponessimo dei confini netti, dovremmo ammettere che la pazzia appartiene a tutti, a chi più e a chi meno. E verrebbero meno le nostre certezze. Invece, per mantenere un po’ di sanità mentale, dobbiamo per forza operare delle distinzioni. Noi e loro.

Il lettore impara a rispettare e apprezzare gli infermieri, che sono quelli che con i degenti ci stanno davvero nel ’94, e che sono costretti a lasciare i loro sogni, ambizioni, preoccupazioni, fuori dalla porta d’ingresso. Costretti a ricoprire un ruolo che magari non appartiene loro, ma lì, in mezzo ai matti, il più debole soccombe.

C’è un eccesso di emozioni, di sensibilità. È come se il protagonista prendesse su di sé le sofferenze dei suoi compagni di stanza, il dolore del mondo, anche quello che il mondo non sente di avere.

Essere così sensibili da vedere e sentire l’angoscia altrui.

Di sorrisi ne ho visti, tanti, meravigliosi, ma questo sembra batterli tutti. Buono per quanto indifeso, per quanta gratitudine ci si possa immaginare dentro.

Un libro che mi ha fatto ridere e piangere insieme. Un libro di una bellezza struggente, da leggere un po’ per volta. I protagonisti sono tutti bellissimi a modo loro, impossibile non amarli tutti, infermieri compresi (i medici no, però).

Meritatissima la candidatura allo Strega. Non vincerà, perché un libro così non può vincere, ma gli auguro il meglio.

Ringraziamo la casa editrice per la copia digitale