“Un treno per Berlino” di Luca Granato (IoScrittore)

Questa storia racconta di un viaggio. Un viaggio dentro e fuori. C’è un amore da incontrare e un cerchio da chiudere. Sembra il momento giusto per rimettere tutto a posto. Accade spesso quando l’anima sente che sta arrivando la fine.

Cosimo Beningarda incontra su un treno Bertfried Ziegler. Sono due diverse generazioni, due tempi storici, due mondi lontani. Con tanta voglia di raccontarsi.

Ziegler ha molti ricordi in testa, affollati all’inizio, e parlarne lo può aiutare a mettere ordine. Col suo compagno di viaggio discute di filosofia, di storia, di coincidenze. Racconta come ha vissuto la Germania nazista e la guerra un ragazza che si deve barcamenare per sopravvivere.

Il destino mette ostacoli e incontri incredibili sul suo percorso, un amore grande e impossibile, una felicità inseguita e sempre negata, un desiderio di essere e di fare che si scontra con la realtà sempre più avvilente. forse nella sua ultima lettera, quella che rigira fra le mani e di cui il ragazzo non osa domandre, si nasconde la risposta a tutte le domande, e soprattutto l’ultima, la più difficile: quanto tempo ci resta per essere felici?

Incipit: La stazione è semideserta. Partire all’alba è garanzia di tranquillità, anche i treni sembrano addormentati, lì, sui binari. Quest’aria sonnolenta la preferisco, anche se qui manca l’odore tipico delle colazioni, di cornetti caldi e di caffè, delle stazioni italiane. Cammino lungo il fianco del treno, cerco la mia carrozza. Sono puliti, i treni tedeschi, anche fuori. Eccola, numero 8, mi avvicino alla porta. Davanti a me, un vecchio signore si trascina nella stessa direzione. È lento e curvo sotto il peso degli anni, lascio che salga per primo per educazione. La mano ossuta aggancia la maniglia, la pelle è secca, tesa, macchiata. Il vecchio alza lo sguardo verso l’interno del vagone, valutando la forza che dovrà imprimere alle gambe per salire lassù. Poi guarda la sua gamba destra, mentre l’appoggia sul gradino, come per infonderle coraggio. Lo osservo da dietro faticare con i primi due scalini. Quanto è vecchio, quest’uomo. Sul terzo gradino, le gambe lo tradiscono. Barcolla, la mano sempre arpionata alla maniglia. Lo sostengo da dietro, perché non cada, lo aiuto a salire. Una volta sul treno, si volta verso di me e mi ringrazia con lo sguardo.

Anita