“Il quinto figlio” di Doris Lessing (Feltrinelli)

Ho letto “Il quinto figlio” di Doris Lessing, premio Nobel per la letteratura 2007, nonostante la mia prima conoscenza con quest’autrice non sia stata idilliaca. Grazie al gruppo di lettura di eccoilibri “Geniali Sortilegi”, che lo ha scelto per febbraio, questo libro – nell’edizione 2020 Economica Feltrinelli – è entrato nella mia casa. Ne ho rimandato la lettura, nonostante fosse corto, perché avevo intuito che parlasse di maternità e perché la copertina con quattro mele sane e una marcia mi sembrava eloquente. Serviva il momento giusto.

“Il quinto figlio” di Doris Lessing (1988)

Cos’è “Il quinto figlio”

“Il quinto figlio” è un libro che parla di Harriet e David , che si conoscono, si innamorano e cominciano a sfornare figli, nonostante le perplessità delle persone intorno. Dopo un certo numero di pargoli iniziano a sentirsi in imbarazzo anche loro, a temere di non farcela, ma è un pudore ragazzino, per la serie “ops, I did it again”.

“Lui si chinava a baciarla e accarezzava la testa del piccolo con un forte senso di possesso che Harriet amava e capiva, perché l’oggetto di quel possesso non era lei né il bambino, ma la felicità stessa. La sua e quella di David.”

Poi arriva Ben e il registro cambia.

Già dal terzo mese di gravidanza, Harriet capisce che non è un bambino come gli altri. Sembra volerla squarciare in due, è uno gnomo, un piccolo demonio. Una volta nato, la situazione non migliora. Ben catalizza tutte le attenzioni. Tutte. È burrascoso, irragionevole, ha una forza sovrumana; è fonte di disagio da parte degli ospiti, di paura da parte dei fratelli.

Ben è diagnosticato come ipercinetico, sembra avere un ritardo mentale, impara male a parlare. Ben non sa gestire la sua violenza dirompente. Per la pace della famiglia, va mandato in istituto. Ma Harriet non è sicura che sia la soluzione giusta.

Punti di forza

Cosa ti chiede il destino quando ti propone una vita rosea e all’improvviso sembra voler mandare tutto all’aria? È giusto comportarsi come nella parabola del buon pastore, lasciare il gregge per non perdere una pecorella? Quali sbocchi può avere il senso di colpa di una maternità rinnegata, del desiderio che un bambino non esista?

“Ma il suo non era il solito invecchiamento, fatto di capelli grigi e pelle stanca: era come se da lei fosse colato via un liquido invisibile, un ingrediente di cui nessuno sospettava l’esistenza, uno strato di sostanza immateriale.”

“Il quinto figlio” è un racconto lungo che si dipana senza interruzioni; non ci sono capitoli; a malapena ci sono degli stacchi di paragrafo. Le vicende di Ben e della madre si svolgono incalzanti e quasi in apnea. C’è la continua sensazione che stia per succedere qualcosa di terribile, perché l’atmosfera è di inspiegabile, assurda cattiveria. Harriet ci sembra l’ignara pedina di un piano malefico. La tensione che si raggiunge, a mio parere, è degna di Shirley Jackson.

Però, però, però…

“Il quinto figlio” pone dei quesiti senza soluzione. Le condizioni in cui si trova di Harriet sono comuni alle migliori famiglie in cui c’è un bambino “speciale”. Per questo è un libro che può fare arrabbiare e lasciare impotenti.

Attenzione: sconsigliato a chi non ama i finali aperti.

Cristina Mosca