“L’isola di Arturo” di Elsa Morante (Einaudi)

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“L’isola di Arturo” di Elsa Morante (1957)

“L’isola di Arturo” è il romanzo di Elsa Morante che ottenne il Premio Strega nel 1957, fresco di pubblicazione con Einaudi.

Di Elsa Morante abbiamo già recensito “La Storia” e di lei abbiamo parlato commentando l’omonima biografia firmata da Angela Bubba (Ponte alle Grazie 2022).

Ho scelto di ascoltare l’audiolettura de “L’isola di Arturo” nel mese di novembre perché a settembre si sono formati due gruppi di lettura virtuali (uno con la blogger RaccontareRosi e l’altro con lo #scaffaletraboccante di Sbarbine che leggono) e ho pensato di approfittarne.

Cos’è “L’isola di Arturo”

Arturo è un giovane abitante di Procida. Cresciuto nella Casa dei Guaglioni, aspetta che il padre torni a trovarlo, imprevedibile e sfuggente. Il ragazzo lo desidera così tanto che lo mitizza e si fa bastare il silenzio della sua compagnia, quando sono insieme.

Ma un giorno c’è un imprevisto: suo padre non sbarca a Procida da solo.

Punti di debolezza

Quanto ho sentito nominare questo libro, leggendo la biografia di Angela Bubba! Quanto strazio intuito dietro la mancanza di un figlio, quanto simbolismo dietro la fine dell’infanzia! Quanti punti esclamativi, anche!

Ecco, comincio a credere di poter apprezzare meglio la Morante ascoltandola, perché il suo utilizzo incisivo e personale della lingua (“non assomiglia a nessun altro”, dicono di lei i critici) arriva ai miei occhi un po’ impolverato. Come fa notare Paolo Di Paolo ne “Vite che sono la tua” (Laterza 2019), siccome Arturo racconta in retrospettiva e da adulto, parla aulico e forse in questo si crea una distanza con il lettore. Allo stesso tempo, però, è vero che si fa “prodigiosa” la capacità dell’autrice di immedesimarsi in un adolescente, con i suoi impulsi e la sua scoperta del mondo. E soprattutto la sua solitudine.

Però, però, però…

Colpisce molto quella che Cesare Garboli definisce l’“idea immobile, ciclica della vita” con cui la scrittrice ci mostra gli eventi. La troviamo nel cielo sopra Procida, nel rumore del mare che la bagna.

Mi ha intenerito trovare anche qui l’immagine del ragazzetto seguito dal cane per le strade che è presente ne “La Storia”. È più facile seguirne lo sguardo se ci soffermiamo su come Giulia Caminito, nel suo “Amatissime” (Giulio Perrone 2022), ha cercato di ricostruire l’infanzia di Elsa Morante dalle lettere e dai primi racconti: già da bambina era pronta a rielaborare la realtà come altra, a tratti più sopportabile.

“Ah, è un inferno essere amati da chi non ama né la felicità, né la vita, né sé stesso, ma soltanto te!”

Nel suo romanzo biografico Angela Bubba sostiene che Elsa Morante perse un figlio e lo abbia immaginato come Arturo. La sua presenza pervade tutto il libro di Bubba, ossessiva, come se la Morante avesse plasmato in lui il suo sogno proibito di madre. Perciò ne “L’isola di Arturo” mi aspettavo un romanzo sulla maternità, o meglio, un romanzo sui rapporti filiali, o al limite la storia di un ragazzo imprigionato nel suo mondo.

“Per la prima volta, invece, conoscevo questa violenza disumana: aver compassione del mio stesso sangue!”

È invece un romanzo sul bisogno di essere amato. Anche se Di Paolo parla della scoperta di essere amati.

Arturo è un ragazzo orfano di madre, che è costretto a vivere il padre a gocce mentre lo vorrebbe bere a grandi sorsi. Essendo cresciuto in questo razionamento d’amore non è pronto alla gelosia, né all’innamoramento. Assistiamo empaticamente alla sua crescita interiore con tutti i dubbi, il subbuglio dell’anima e del corpo, la voglia di andare via.

Da questo punto di vista, “L’isola di Arturo” è un romanzo prezioso e delicato, commovente. È dolce l’ingenuità del protagonista, sono santi i suoi attacchi di rabbia di fronte alla realtà. Ad Arturo non si può che volere bene.

Cristina Mosca