Perché “Wednesday” è una serie da guardare in inglese

“Rave’n dance” – Wednesday, episode 4

Lo scorso 23 novembre c’è stato il release, su Netflix, della prima stagione di “Wednesday”. La serie è creata da Alfred Gough, Miles Millar e Tim Burton. La protagonista è interpretata dalla ventenne Jenna Ortega e conta nel cast stelle come Catherine Zeta-Jones, nei panni di Morticia Addams, o Luis Guzmán, nei panni di Gomez.

La serie “Wednesday” è subito diventata virale. Vediamo perché.

La Dark Academy

Innanzitutto trovo che la storia sia immersa nelle atmosfere della Dark Academy. Questo filone ha preso vita dal “Dio di illusioni” di Donna Tart (1992) e ha dato origine a un filone letterario e cinematografico che ha alcune caratteristiche riconoscibili:

– L’età dei protagonisti è in genere quella del college e il setting anche;

– Le atmosfere sono ambigue o soffocanti, tipiche di un’ambientazione “a circuito chiuso”;

– Le relazioni tra i personaggi sono pesantemente condizionate da questo circuito chiuso. Spesso sono elitarie e hanno a che fare con un segreto.

– Gli abiti, in genere divise scolastiche, sono fortemente caratterizzanti.

Inoltre sono evidenti i riferimenti al fantasy di Harry Potter.

La storia di “Wednesday”

La storia raccontata negli otto episodi di “Wednesday” è ambientata ai giorni nostri e ruota intorno a un’indagine. Troppe morti cruente stanno avvenendo intorno al college per outcasts (emarginati, reietti) “Nevermore”: le persone vengono ritrovate smembrate nel bosco.

La polizia cerca i responsabili tra la singolare utenza del college. Come dargli torto, quando questa è costituita da Sirene, lupi mannari, Senza Faccia e Gorgoni?

Il balletto

Con il suo viso impenetrabile (non batte mai le ciglia) e la sua indifferente aplomb, Wednesday è parte integrante dell’ambientazione gotica in cui la serie è immersa. Il cinismo e il sadismo sono tratti ben riconoscibili e si esprimono attraverso paradossi, freddure e perifrasi. Proprio a causa dell’estrema immobilità del suo personaggio, è diventato subito virale il ballo inaspettato che la ragazza mette in scena nell’episodio 4 sulle note di “Goo goo muck” dei The Cramps (1981).

In più parti è testimoniato che ha pensato lei alla coreografia, mescolando una serie di tributi.

Ma a voi davvero non ricorda nessun’altra scena? Neanche quella della pista di “Pulp fiction” (1994), in cui John Travolta e Uma Thurman si fronteggiano come Mercoledì e Tyler, opponendo il bianco con il nero e una serie di movimenti un po’ scoordinati?

L’ispirazione

Lo scheletro della serie – non è un mistero – è un omaggio al maestro dell’horror letterario Edgar Allan Poe. Il riferimento più evidente è la statua che troneggia nel college, ma anche le squadre della gara di barche, per esempio, portano i nomi di alcuni suoi celebri racconti (la squadra di Wednesday è “The black cat”, il gatto nero”). Il college stesso è una citazione del poema “Il corvo” (“The Raven”… come il locale “Rave’n”), il cui motivo ricorrente è il noto “never more”… “mai più”.

Avrete sicuramente notato anche l’omaggio a Robert Louis Stevenson, autore, nel 1886, de “Lo strano caso del dr Jekyll e Mr Hyde”. Questa novella è un baluardo della letteratura cosiddetta “del doppio” e tipica dell’età vittoriana: parte dal presupposto che, nell’uomo, il bene e il male coesistono e sono inscindibili; a malapena sono controllabili. Praticamente anticipa la psicanalisi freudiana che arriverà nei primi anni del Novecento.

Sotto questa luce è molto chiaro il ruolo dei mostri Hyde nella serie.

I titoli

Chi ha notato la finezza dei titoli?

Nel secondo episodio, Morticia Addams spiega alla preside del Nevermore che Wednesday deve il suo nome a una filastrocca ottocentesca per bambini dedicata ai giorni della settimana: Wednesday’s child is full of woe, il bambino del mercoledì è pieno di dolore.

In perfetta linea con la serie, questo woe, che è una parola abbastanza arcaica, viene rovesciato e attenuato da un utilizzo tutto contemporaneo: i titoli degli episodi sono frasi fatte o titoli di canzoni a cui è stata sostituita una parola. I giochi di significato più evidenti sono per esempio in “Quid Pro Woe” (invece di quid pro quo, con cui si stigmatizza un equivoco), “If you don’t woe me by now” (invece di “If you don’t know me by now”) o in “Friend or woe” (invece di “Friend or foe”, amico o nemico)

L’inglese

Una delle caratteristiche dei personaggi è la parlata aulica, che li rende molto singolari e conferma la loro natura da outsider. Ma proprio per questo, “Wednesday” è una serie che va guardata in inglese. E intendo dire: in lingua inglese con i sottotitoli in inglese.

I sottostrati del gergo medico, legale, religioso e scientifico dell’inglese hanno infatti origine latina, perché erano i monaci cristiani i principali detentori di questi saperi, e il latino era la lingua universale in questi campi in tutta l’Europa. Vi sembrerà strano, ma tutto quello che agli anglosassoni, la cui lingua ha origine germanica, suona arcaico, per noi è estremamente familiare. Parole come “magnificient” (magnifico), “foetus” (feto), “postpone” (posticipare) sono più facilmente riconoscibili dai detentori delle lingue romanze – derivate dal latino – che dai nativi anglosassoni.

Paradossalmente, insomma, quando parliamo di lingua inglese un italiano ha più possibilità di comprendere a primo sguardo un atto giudiziario che una conversazione in strada.

Ecco perché ascoltare (e leggere sui sottotitoli, se temiamo di perdere il segno) i personaggi della serie “Wednesday” nella loro lingua madre può farci superare qualche inibizione nei confronti dell’inglese e magari farci superare qualche senso di inadeguatezza. Andate tranquilli, comprenderete la maggior parte dei dialoghi. Soprattutto se state facendo il rewatch.

E a proposito di inglese… Adesso lo avete imparato, come si scrive mercoledì?

Recensione di “Mercoledì”

La faccio breve: la serie mi è piaciuta. La struttura è coerente con sé stessa, il percorso investigativo è strutturato in maniera classica e funziona, pur mancando di eccessivi colpi di scena.

L’unica osservazione che ho da fare è nella facilità con cui, in un paio di occasioni, la protagonista viene tratta da situazioni apparentemente senza via di scampo. Mi è venuto da pensare che alcune soluzioni siano state un po’ troppo di comodo rispetto a come era stata impostata la storia.

Di più non posso sbottonarmi, perché ho promesso il NO SPOLIER. Però, se volete, sui social ne parliamo in privato dopo che avete visto la serie.

Cristina Mosca