“Mrs Dalloway” di Virginia Woolf (Feltrinelli)

“Mrs Dalloway” di Virginia Woolf (1925)

“Mrs Dalloway” – in molte edizioni italiane tradotto ne “La signora Dalloway” – è un romanzo di Virginia Woolf uscito il 14 maggio 1925 e concepito nel 1922, l’anno in cui uscì l’ “Ulisse” di James Joyce. Io l’ho letto la prima volta nella traduzione di Pier Francesco Paolini per la Biblioteca Economica Newton del 1997 e ascoltato la settimana scorsa nella traduzione e lettura di Nadia Fusini, pubblicata da Feltrinelli.

Trama di “Mrs Dalloway”

Tutto si svolge nella giornata in cui Clarissa Dalloway compie cinquantadue anni. In serata darà una festa ed è impegnata negli ultimi preparativi ordinari, compreso il rammendare un vestito e ricevere fiori dal marito. Contemporaneamente, seguiamo la giornata di alcuni dei suoi invitati e anche di perfetti sconosciuti: una giornata londinese fatta di incontri, pettegolezzi, flirt, considerazioni.

Il libro si conclude alla sua festa, dove gli invitati sono raggiunti dalla notizia di un suicidio.

“Oh! pensò Clarissa, nel bel mezzo della mia festa… ecco la morte, pensò”.

Pietro Citati, nel saggio “La malattia dell’infinito” (Mondadori 2008) definisce il personaggio del suicida Septimus Warren Smith, lo “sconosciuto alter ego di Clarissa”. Tra lo sprofondare negli abissi della coscienza del primo e nella tensione verso la superficialità della vita della seconda, si disegna infatti un baratro in cui si muovono, come in una danza, tutti gli altri personaggi dell’alta borghesia.

Il titolo iniziale era “Le ore”, infatti la giornata di tutti è scandita dai rintocchi dell’amato Big Ben. Come fa notare Pietro Citati, questa forte presenza contraddice la convinzione dell’autrice che in questo romanzo “il tempo non esiste”.

Punti di forza

La prima volta che ho letto “Mrs Dalloway” ero una liceale e ne sono uscita con l’impressione di aver viaggiato insieme alla piuma del film “Forrest Gump”. Oggi ho la conferma che per abbandonarsi a questo romanzo bisogna rinunciare alle grandi trame e concentrarsi sui “momenti di essere” (“moments of being”) dei personaggi.

“(…) eccolo là, nel fiore degli anni, diretto a casa sua in Westminster per dire a Clarissa che la ama. La felicità è questa, pensò”

Questo stile rispecchia la frammentazione avvenuta nell’uomo dopo la prima guerra mondiale, che James Joyce ha cercato di replicare con lo sperimentalismo linguistico e Virginia Woolf con una narrazione più introspettiva, che prende il sopravvento sul classico intreccio. Non a caso era una grande fan di Marcel Proust.

“La parola “tempo” ruppe il guscio; riversò le sue ricchezze su di lui; e dalle sue labbra caddero come conchiglie, come trucioli da una pialla, senza ch’egli le formulasse, dure, bianche, imperiture parole, e volarono per disporsi, ordinatamente, in un’ode al Tempo.”

Quando scrive di questa cinquantaduenne, Virginia Woolf ha dieci anni in meno. Clarissa Dalloway è una donna che fa il bilancio della sua vita con un distacco invidiabile, Quasi calcola ogni convenienza anche quando si tratta di pensare alla possibile vita che avrebbe avuto adesso, se avesse sposato il suo pretendente rifiutato, Peter Walsh, appena tornato in città e ospite della sua festa.

Però, però, però…

Avvertenze per la lettura: lo sperimentalismo narrativo di Virginia Woolf può scoraggiare l’ignaro viandante che è convinto di avvicinarsi a un romanzo di tradizionale. Occorre chiamare in causa la propria apertura mentale per poter godere dell’ironia sottile dell’autrice, che trionferà poi in “Orlando”. Lei ritrae i suoi personaggi (Pietro Citati le chiama Figure) e li prende bonariamente in giro per la loro convenzionalità e per le loro manie.

“Mrs Dalloway” conserva anche delle sorprese: se il lettore conosce un minimo la vita dell’autrice e sa che si è suicidata, si aspetterà probabilmente un lavoro noiosissimo e lamentoso. Invece si troverà davanti a un inno alla vita.

Cristina Mosca