“Quando piove canto più forte” di Paolo Fiorucci (Neo)

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“Quando piove canto più forte” di Paolo Fiorucci (Neo)

“Quando piove canto più forte” è la seconda raccolta di poesie di Paolo Fiorucci, pubblicata da Neo edizioni a novembre 2021. Ho comprato questo gioiellino in occasione di un firmacopie e ho trascorso insieme a lui tutto il 31 dicembre, perché volevo finire il mio 2022 su Goodreads con una cifra tonda.

Di Paolo Fiorucci abbiamo recensito anche “21 poesie invece di chiederti come stai”.

Cos’è “Quando piove canto più forte”

Oltre cinquanta poesie e quasi altrettante Polaroid in bianco e nero scattate dall’autore stesso, compongono “Quando piove canto più forte”.

Sono poesie per lo più brevi, a volte quasi degli haiku o dei telegrammi, alternate a fotografie scattate prevalentemente ad elementi urbani e naturali.

Il filo che li accomuna è il mono no aware giapponese, ossia quel senso di bellezza che viene dalla caducità delle cose: un momento insieme, un paesaggio innevato, un bacio.

Punti di forza

Rispetto al lavoro precedente, la poesia di Paolo Fiorucci si sfrangia, si frammenta in piccole stelle, in gocce di nostalgia che faticano a scivolare. Sono poche le pagine in cui ritroviamo il cantautore che giocava con le sillabe e le immagini. Adesso il paesaggio è maturo e fatto di neve: è silenzioso, solitario, in attesa.

“(…) Nella stanza con lo specchio grande

il notturno del tuo corpo

innamorato mi addormenta”

I versi di “Quando piove canto più forte” si costruiscono ed evolvono fra una possibilità e un addio, senza perdere la dolcezza e l’ironia a cui l’autore ha abituato i suoi ammiratori.

“(…) ma chiedimi di nuovo

degli animali nascosti dalle nuvole

sopra i cantieri dell’Aquila

nel blu dipinto di gru”

L’affiancamento delle polaroid ha l’effetto di un tempo passato, che amplifica il suo ricordo e vorrebbe struggersi per l’impossibilità del suo ritorno. È un dolce indugiare sulle esperienze mancate e quelle che si vorrebbe ripetere. In entrambi i casi le si vorrebbe fermare per sempre.

“(…) sull’unica via di un paese

di cui non conoscevi il nome

e che adesso vuol dire casa mia,

dove l’inverno è nuvole e neve

e si vive alla maniera degli alberi

restando.”

Il libro è chiuso da una postfazione di Amedeo Di Nicola.

Cristina Mosca