“Vietato ai minori” di Laudomia Bonanni (Bompiani)

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“Vietato ai minori” di Laudomia Bonanni, Bompiani 1974

“Vietato ai minori” è un libro-testimonianza di Laudomia Bonanni, pubblicato da Bompiani, che si è classificato terzo al Premio Strega 1975. Prende spunto dall’esperienza della scrittrice in qualità di giudice laico nei tribunali minorili de L’Aquila e di Roma. Del 2018 è un’edizione integrale pubblicata dalla Fondazione Cassa di risparmio della provincia dell’Aquila.

Sono tornata a leggere Laudomia Bonanni dopo aver studiato “Amatissime”. Di Laudomia Bonanni ho recensito anche “L’imputata”, “L’adultera” e “Il bambino di pietra”.

Cos’è “Vietato ai minori”

Questo libro è una sorta di inchiesta che alterna ritratti e un “taccuino delle udienze”, seguendo i bambini e i ragazzi in un centro di rieducazione provinciale, nel carcere minorile Gabelli di Roma e nell’ospizio San Michele, che era sia ospizio, sia carcere sia orfanotrofio (circa cento ragazzi da “trattenere tutto il giorno e senza spazio”, senza “carta matite libri”.

Ci sono anche alcune riflessioni di dieci anni dopo.

“Tutto è predisposto per l’indulgenza dalla legge speciale che istituisce il giudizio sui minori, manca soltanto la prevenzione.”

La chiamo “una sorta” di inchiesta, perché quello di Laudomia Bonanni è lontano dal linguaggio giornalistico e rapido con cui la potremmo immaginare. La scrittrice fa la scrittrice, quindi nel raccontare compie anche un ricerca linguistica, insegue una sonorità, si concede di essere oscura a tratti.

“È una metamorfosi. Le metamorfosi sono dolorose… dolorosamente oscure… se ne esce come da una febbre altissima. Oltretutto una metamorfosi alla rovescia. Si ripiegano le ali dell’infanzia in un bozzolo di carne e può capitare di uscirne strisciando.”

Questo è un libro che si può leggere anche non linearmente, perché non segue una trama specifica. È costituito principalmente da episodi.

Punti di forza

La scrittura procede spezzata, sincopata. La narrazione non è fluida, assomiglia più a degli appunti. Vengono illustrati molti episodi, molti scorci. È come se sbirciassimo in stanze private. Leggendolo, penso a un carico troppo grande per essere trasportato tutto da solo: l’autrice ha bisogno di consegnarcelo, di liberarsene, strapparselo via.

“(Ed è, l’ignoranza, una ingiustizia veramente grave fra gli uomini)”

I ritratti che riceviamo ci mostrano ragazzi corrotti, che sembrano non rendersi conto di avere la violenza come distorto mezzo di comunicazione. Dietro di loro, quando ci sono, abbiamo genitori poveri, ignoranti, piccoli di fronte alla legge. In questo libro non c’è spazio per l’ironia né per l’aneddotica o per un guizzo di luce: tutto è tragico, cupo, in cerca di salvezza.

“Lasciata, non tentò la fuga. Solo quell’arruffio d’uccello che aspetti di rassicurarsi per spianare le penne”

L’autrice sottolinea il grado di arretratezza in cui si trovano certe realtà. Arriva ad affermare che occorrerebbe fare educazione sessuale nelle scuole.

Però, però, però…

Ho un sentimento ambivalente verso questo libro, scritto a spezzoni. La scrittura ha un ritmo abbastanza rapido, interrotto, fa pensare a un accapigliarsi di pensieri. Arrivata a metà avevo deciso di interromperlo, passare a un romanzo, prendere un po’ d’aria. Ma poi non sapevo decidere quale, non sapevo staccarmi.

“No, non è che dimentichino, i bambini in un certo senso non dimenticano niente. Se anche non sanno più, tutto è però entrato nella loro sostanza, la memoria si trasforma in sostanza umana. E da grande, senza ricordo, Elio sarà pure fatto di quello che ha subìto”

La scrittura è densa come pasta di cioccolato. Da consumare senza strafare.

Cristina Mosca